Certe volte lui si mette
fermo ad osservare le persone che gli sfilano vicino, quelle che entrano o che
escono dal locale alla buona che è solito frequentare, mentre resta seduto su
una seggiola di plastica sopra al marciapiede esterno, davanti alla via
principale del paese, dove ogni tanto transita qualche macchina sferragliante
che in seguito lascia ricadere ogni rumore, subito dopo quel passaggio, lasciando
in aria un silenzio monotono e usuale. Gli piace a lui stare lì senza avere
null’altro da fare: è come se quelle poche persone che gli circolano davanti
quasi sopra ai piedi, e che spesso comunque lo salutano sfiorandolo, gli
portassero ogni volta quasi una ventata di novità, persino coloro che non gli
dicono niente, solamente con quella loro rapida presenza. “Oggi mi sento
stanco”, fa lui senza guardarlo ad uno che si è soffermato per battergli
amichevolmente una mano sopra ad una spalla; “mi sembra di aver fatto chissà
cosa, anche se in effetti mi sono occupato soltanto delle cose normali di ogni giorno”.
L’altro sorride, “capita, sentirsi così”, gli fa; “non c’è da prendersela
tanto”.
Poi rimane solo, osserva
una nuvola di polvere in fondo allo stradone, dove sta manovrando senza fretta
un autocarro, poi però si accascia lentamente su se stesso, ed alla
fine cade a terra, proprio davanti alla sua sedia, senza dire niente, senza neppure
chiedere alcun aiuto. Passa qualche minuto ed alla fine qualcuno lo vede così,
appoggiato su di un fianco sopra al marciapiede, ed in tre o quattro lo tirano
subito su, cercando in fretta di fargli riaprire gli occhi, di fargli dire
qualche cosa, di comprendere che cosa sia che non va improvvisamente in lui, in
quel loro bravo concittadino. Viene portato un bicchiere con dell’acqua, una
salvietta inumidita per rinfrescargli il viso, mentre già qualcuno più esperto
gli sente il polso e gli apre la camicia. Lui alla fine muove la testa, si
guarda attorno con estrema calma, socchiude le labbra senza ancora dire niente,
mentre intorno gli esprimono parole di incoraggiamento.
Infine torna a rimettersi
seduto, esattamente come stava prima, e beve un sorso d’acqua senza neanche avere
troppa sete, mentre chiede in giro a voce bassa e con uno scarso interesse che
cosa realmente sia
accaduto. “E’ la noia di starsene sempre qui”, fa
qualcuno per sdrammatizzare, “che certe volte ti porta a perdere la testa”.
Altri ridono, le cose rientrano poco per volta nella piena normalità, anche se
a lui viene chiesto, casomai, se desiderasse andare a casa sua, oppure da un
medico a farsi visitare. “No, non ha importanza”, fa lui senza più muoversi;
“forse me ne vado per i fatti miei tra una
decina di minuti, ma per adesso vorrei stare ancora qui”. Tutti riprendono le
loro consuetudini, e solamente uno che lo
conosce da sempre gli
si siede accanto per parlargli di qualcosa che, per come è fatto lui, a
dire la verità sembra neanche interessarlo. “Le cose
vanno in questo modo”, lo interrompe però a un certo punto. “Ci guardiamo
attorno per imparare dagli altri quanto sia possibile, e poi non serve più,
tutto è annullato, così, all’improvviso”. “Si, è proprio in questo modo, fa
l’altro, e sembra quasi che il nostro arrabattarci sia solamente una maniera
per ingannare il tempo, per riempirlo di significato, per dare un qualche senso
a questa corsa”. Poi rimangono tutt’e due in silenzio, forse riflettendo a
quanto si sono appena detti. “Allora adesso me ne vado”, fa lui alla fine; “tanto
mi pare che per stasera non ci sia più neppure bisogno della mia presenza”.
Bruno Magnolfi
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