Durante un
periodo un po’ particolare di diversi anni fa, in seguito alla confidenza che
una persona mi aveva fatto a proposito dello psicanalista da cui era in cura,
iniziai ad annotare ogni mattino ciò che ricordavo dei miei sogni notturni, in
considerazione dell’importanza di questa materia sostenuta da quel medico.
Nello stesso periodo un ragazzo mi confidò che dormire avvolti in una
termocoperta spenta, ma allacciata alla presa della corrente elettrica, formando
un forte campo magnetico, stimolava il cervello in modo talmente inconsueto da
permettere delle performance impensabili in altra maniera. Da quel momento
iniziai quasi ogni notte a dormire nudo rannicchiato nella termocoperta, ed
anche se mi sentivo la pelle sudata dal calore del campo magnetico, ugualmente
sopportavo il piccolo sacrificio, convinto che il mio dormire, e quindi i sogni
eventuali, subissero un impulso straordinario.
Scrissi così molte cose in tutto quel
lungo periodo, regolando la suoneria della sveglia in anticipo di un’ora
rispetto alla mia normale tabella di marcia, in modo da avere ogni mattina
tutto il tempo per annotare ciò che ricordavo dei sogni. Fu solo dopo un
periodo lungo e estenuante dominato comunque dall’entusiasmo per quei quaderni
pieni di appunti, che qualcosa iniziò ad incrinarsi. Il primo problema fu la
sciocca richiesta del capufficio di anticipare l’orario di inizio del mio
lavoro di un quarto d’ora. Apparentemente non era un gran sacrificio, ma questo
veniva a scontrarsi con il momento dedicato all’annotazione dei sogni, e
siccome non volevo svelare la mia attività, proposi in alternativa la
possibilità di rimanere per mezz’ora, alla sera, oltre l’orario convenzionale.
La mia proposta non venne accettata, e in più sollevò qualche inquietudine in
tutti i colleghi. In breve, quel quarto d’ora che iniziai a rispettare si
frappose tra il lavoro e i miei sogni, e a nulla valse ogni tentativo di far
abituare il mio organismo al nuovo orario: non riuscivo più a fare i sogni di
prima, e quelli che facevo erano stupidi, frammentari, non all’altezza delle
mie aspettative.
Per tutta la giornata continuavo ad essere
preda di un nervosismo strisciante, e i miei accorgimenti, nonostante la
termocoperta ed il resto, iniziarono ad essere inutili. Meditai a lungo le
scelte, poi ne parlai al capufficio, il quale, perplesso, inaspettatamente
autorizzò, soltanto per me, il ripristino del vecchio orario. I colleghi non ci
videro chiaro, qualcuno chiese addirittura ad alta voce spiegazioni in merito
al diverso trattamento, poi, nei corridoi e nell’ora di pausa pranzo, mi
accorsi che c’era chi mi osservava in modo un po’ strano, ridacchiando alle mie
spalle, confidando qualcosa sottovoce mentre passavo. I miei sogni intanto
parevano persi comunque: sembravano adesso annidarsi nelle parti più oscure del
mio cervello, rendendosi inafferrabili. Con quanto cercavo di sforzarmi al
mattino, non riuscivo più a ricordare un bel niente, e il mio quaderno per gli
appunti diventava sempre più inutile.
Il capufficio mi chiese di prendere
un periodo di riposo, visto che la qualità del mio lavoro negli ultimi tempi
era andata notevolmente calando, e fu nel periodo in cui ero a casa che mi
arrivò una lettera in cui la società per cui lavoravo richiedeva una visita
medica specialistica da effettuare presso uno studio psichiatrico. Mi preparai
per tempo, e in una cartella portai con me tutti i quaderni con i sogni
annotati: i due medici vollero sapere tutto quanto, si interessarono molto al
mio caso, furono affascinati dai miei metodi con i quali avevo annotato tutti
quei sogni, e quando, diversi giorni più tardi mi arrivò un’altra lettera in
cui si diceva che non avrei più dovuto andare in ufficio e che mi veniva comunque
rilasciato un vitalizio, un piccolo stipendio senza alcuna necessità di
sacrificarmi con il lavoro, seppi che i medici avevano capito: erano i sogni
ben più importanti di ogni altra cosa, non dovevo sacrificarli, era quello il
dovere più forte.
Bruno
Magnolfi
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