“Non
c’è da preoccuparsi, va tutto bene…”, disse qualcuno del pubblico a bassa voce,
ma facendo risaltare le parole nel silenzio buio della sala. All’attore, che
stava interpretando la parte finale del monologo di un personaggio triste e
angosciato, gli parve quasi una battuta studiata, forse addirittura un elemento
di improvvisazione architettato dall’autore del pezzo teatrale, così cercò di
dargli seguito, mentre cercava di capire meglio cosa stava accadendo: “Certo”,
rispose, “E in un modo o nell’altro le cose avranno una sua prosecuzione”. Ma
pensò subito che non aveva detto niente, così cercò di rimediare: “Qualche
possibilità ci deve pur essere per riprendere a volare, per ritrovare il senso
delle cose, per poter tornare ancora a sorridere”.
Nessuno diceva
altro, il silenzio regnava dentro il teatro. Così lui cercò di riprendere il
monologo da dove si era interrotto, ma si accorse di essere andato un po’ fuori
strada con i suoi pensieri, e non ricordava più a che punto del copione fosse
arrivato. Fece due o tre passi laterali sopra al palco, prese tempo, sentì
tossire qualcuno in fondo alla sala. “C’è come un sesto senso in ognuno…”,
disse improvvisando, “Che riporta irrazionalmente verso la strada giusta,
quella migliore. Le cose non ci accadono mai pienamente per caso; le
prepariamo, dentro di noi, spianiamo quella strada affinché alcuni fatti siano
possibili, anche se non ne siamo completamente consapevoli”.
Poi si ricordò
il punto del monologo in cui si era interrotto, e dopo una pausa di silenzio
riprese: “Oggi non potrei guardare in faccia nessuno, se non avessi fatto
quello che la mia coscienza ha dettato, anche se mi è costata molta fatica,
molto dolore…”, ma si sentì completamente fuori strada, soprattutto non
ritrovava la sintonia col personaggio, un uomo d’onore che aveva fatto
imprigionare un amico denunciandone un grave delitto. Gli venne in soccorso la
voce di prima, che disse: “Ciò che deve accadere, accade…”, facendolo subito
reagire, perché non era quello che pensava o che avrebbe voluto dire. “Non
dobbiamo essere fatalisti…”, disse con voce piena, “Dobbiamo essere retti,
cercare la nostra via e seguirla, ognuno di noi, prima di tutto…”, poi si sentì
perduto, e così concluse: “Io, per esempio; ho fatto di tutto per cercare la
mia strada, e adesso che ho compiuto le scelte giuste per la mia coscienza,
l’ho smarrita completamente, mi sento affranto, non capisco neanche più chi io
sia; ma è proprio questo il mio compito adesso, devo cercare, devo fare di tutto
per ritrovarla la strada, per dimostrare a me stesso che ciò che ho fatto era
giusto; è l’intento, il percorso, quello che conta, il resto è costituito da
strappi che a volte si formano e che la vita ci impone di ricucire…”.
Poi pensò che
non avrebbe avuto altro da dire neppure se si fosse ricordato perfettamente il
copione, e neppure immedesimandosi di nuovo in quel suo personaggio, così fece con
estrema naturalezza un inchino a quel pubblico congedandosi da quegli argomenti
difficili e dolorosi, e scomparve dietro le quinte. Qualcuno capì lo sforzo per
rendere vero ed attuale quel suo personaggio, ed iniziò ad applaudire, con il
resto del pubblico forse perplesso ma pronto a seguire quei primi, in maniera
crescente, fino a sentire il dovere di alzarsi, tutti su in piedi, per una vera
e propria ovazione. L’attore tornò per prendersi tutti gli applausi, e solo
allora si rese conto che in mezzo alla sala c’era l’autore del brano teatrale, proprio
lui, che nel buio lo aveva provocato, e che rendendo più naturale e spontaneo
il suo monologo, aveva creato un piccolo capolavoro.
Bruno
Magnolfi
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