giovedì 18 febbraio 2010

Sul palcoscenico.



            “Non c’è da preoccuparsi, va tutto bene…”, disse qualcuno del pubblico a bassa voce, ma facendo risaltare le parole nel silenzio buio della sala. All’attore, che stava interpretando la parte finale del monologo di un personaggio triste e angosciato, gli parve quasi una battuta studiata, forse addirittura un elemento di improvvisazione architettato dall’autore del pezzo teatrale, così cercò di dargli seguito, mentre cercava di capire meglio cosa stava accadendo: “Certo”, rispose, “E in un modo o nell’altro le cose avranno una sua prosecuzione”. Ma pensò subito che non aveva detto niente, così cercò di rimediare: “Qualche possibilità ci deve pur essere per riprendere a volare, per ritrovare il senso delle cose, per poter tornare ancora a sorridere”.
Nessuno diceva altro, il silenzio regnava dentro il teatro. Così lui cercò di riprendere il monologo da dove si era interrotto, ma si accorse di essere andato un po’ fuori strada con i suoi pensieri, e non ricordava più a che punto del copione fosse arrivato. Fece due o tre passi laterali sopra al palco, prese tempo, sentì tossire qualcuno in fondo alla sala. “C’è come un sesto senso in ognuno…”, disse improvvisando, “Che riporta irrazionalmente verso la strada giusta, quella migliore. Le cose non ci accadono mai pienamente per caso; le prepariamo, dentro di noi, spianiamo quella strada affinché alcuni fatti siano possibili, anche se non ne siamo completamente consapevoli”.
Poi si ricordò il punto del monologo in cui si era interrotto, e dopo una pausa di silenzio riprese: “Oggi non potrei guardare in faccia nessuno, se non avessi fatto quello che la mia coscienza ha dettato, anche se mi è costata molta fatica, molto dolore…”, ma si sentì completamente fuori strada, soprattutto non ritrovava la sintonia col personaggio, un uomo d’onore che aveva fatto imprigionare un amico denunciandone un grave delitto. Gli venne in soccorso la voce di prima, che disse: “Ciò che deve accadere, accade…”, facendolo subito reagire, perché non era quello che pensava o che avrebbe voluto dire. “Non dobbiamo essere fatalisti…”, disse con voce piena, “Dobbiamo essere retti, cercare la nostra via e seguirla, ognuno di noi, prima di tutto…”, poi si sentì perduto, e così concluse: “Io, per esempio; ho fatto di tutto per cercare la mia strada, e adesso che ho compiuto le scelte giuste per la mia coscienza, l’ho smarrita completamente, mi sento affranto, non capisco neanche più chi io sia; ma è proprio questo il mio compito adesso, devo cercare, devo fare di tutto per ritrovarla la strada, per dimostrare a me stesso che ciò che ho fatto era giusto; è l’intento, il percorso, quello che conta, il resto è costituito da strappi che a volte si formano e che la vita ci impone di ricucire…”.
Poi pensò che non avrebbe avuto altro da dire neppure se si fosse ricordato perfettamente il copione, e neppure immedesimandosi di nuovo in quel suo personaggio, così fece con estrema naturalezza un inchino a quel pubblico congedandosi da quegli argomenti difficili e dolorosi, e scomparve dietro le quinte. Qualcuno capì lo sforzo per rendere vero ed attuale quel suo personaggio, ed iniziò ad applaudire, con il resto del pubblico forse perplesso ma pronto a seguire quei primi, in maniera crescente, fino a sentire il dovere di alzarsi, tutti su in piedi, per una vera e propria ovazione. L’attore tornò per prendersi tutti gli applausi, e solo allora si rese conto che in mezzo alla sala c’era l’autore del brano teatrale, proprio lui, che nel buio lo aveva provocato, e che rendendo più naturale e spontaneo il suo monologo, aveva creato un piccolo capolavoro.

            Bruno Magnolfi


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