sabato 13 febbraio 2010

Vicino al porto.



Una stessa immagine, un identico pensiero, tutto pare combaciare, come un miracolo di sintonia. Basta un sospiro, si torna a fermare lo sguardo nello stesso punto, immaginandoci lo stesso risultato, e invece qualcosa si è mosso, c’è una variazione, e quegli aspetti non sono già più gli stessi: è passato ancora un minuto, che dico, solo un momento, ed adesso indubbiamente tutto è diverso. Inutile cercare di trattenere qualcosa: il punto di vista muta, la luce trascolora, il pensiero va ad inciampare in cose che prima non c’erano, e tutto in quell’attimo è ormai differente, in un modo definitivo.
“Il sole al tramonto giocava con i vetri delle finestre, quelle stesse finestre delle case gialle dell'ammiragliato”, pensava molti anni dopo la ragazza d’età più giovane di quella che a all’epoca voleva dimostrare; si ricordava distintamente di quel niente nella luce che cambiava in un momento qualsiasi prospettiva. “Le piazzette vicine erano piene di bimbi rumorosi, con le mamme dai vestiti colorati che portavano a spasso i piccoli con la carrozzina, e le panchine erano gremite di gente, mentre si scorgevano drappelli di uomini anziani in piedi, intenti a scommettere sempre su qualcosa, e da una parte il gelataio ormai stanco rigovernava quel suo chiosco. 
A volte, presa dai giochi, mi attardavo, e me ne accorgevo solo quando  ormai le  luci  all'interno  delle case e lungo tutta la zona del porto erano accese, e brillavano come cerchietti stellati di fette di limone; e se poi alle luci facevano seguito i rintocchi delle campane della chiesa di Santa Teresa, era davvero tardi, dovevo correre a casa, a perdifiato, proprio nell'ora più bella; infatti a quell'ora d'improvviso  gli schiamazzi dei ragazzi e i garriti delle rondini scemavano, e l'aria  tornava a profumare di mare e di oleandro, e le ragazze a coppie lentamente scendevano ad affollare il viale alberato,  fronteggiante la Villa; di lì a poco si sarebbe sentita la sirena, quella che segnava  l'ora della libera uscita dei marinai, ed i sogni pensati con la coscienza, quelli che non confidavamo neppure tra di noi, diventavano d’incanto ragazzi vestiti di bianco, bellissimi, con il fascino della gente di fuori, di altra cultura, di diversa sensibilità, differenti per forza dalle solite cose a cui si era abituati.
Poi si rientrava davvero, finalmente, ma ci sembrava d’improvviso tutto diverso, davvero cambiato senza che neppure se ne capisse il motivo, e l’unico elemento stabile, quello rimasto vero e immutato, proprio come prima, era quel grumo di sogni spremuti e persi nel fondo di noi; e un po’ avevamo pena di quella ragazza che aveva preso quei sogni troppo sul serio…”.

Bruno Magnolfi


            

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