Le due donne
avevano litigato usando un pretesto, giusto per la voglia che provavano, chissà
da quanto tempo, di dirsi qualcosa fuori dai denti. Poi una delle due si era
seduta sopra un gradino, in un angolo di quella grande terrazza condominiale
attraversata da una parte all’altra da fili di ferro zincato per stendere i
panni ad asciugare, e singhiozzando aveva nascosto il viso dentro le mani. Il
vento era tiepido, il sole sembrava concentrare là sopra la maggior parte di
sé, su quel pavimento polveroso di graniglia di marmo, su quei muretti di lato,
bianchi e un po’ scalcinati. Le lenzuola
si muovevano in modo sinuoso, ogni tanto un odore di sugo arrivava da qualche
casa là attorno.
L’altra,
conservando sulle braccia la cesta quasi vuota dei panni, si era mossa
lentamente verso di lei, aveva detto sottovoce che le dispiaceva, che non era
stata sua intenzione offenderla, e che in fondo non era successo niente, quelle
scaramucce erano solo stupidaggini che nascondevano un po’ di nervosismo,
nient’altro. La donna seduta non si era mossa. Si conoscevano da anni loro due,
ma non erano amiche, solo vicine di casa. “C’è qualcosa di più, mi sembra di
capire, che non le nostre piccole guerre per stendere i panni…”, disse l’altra,
spinta dalla curiosità di sapere da cosa fosse causata quella reazione.
Arrivarono due
bambini che giocavano a rincorrersi, si nascosero l’uno dall’altro in mezzo
alle lenzuola già stese, e continuarono a ridere e a scorrazzare fino a
prendersi un urlo di riprovazione che li fece fuggire di nuovo, giù per le
scale. La donna si era alzata dal gradino, si era sistemata i capelli e la
gonna, si era guardata attorno, ma tenendo gli occhi bassi, indifferente alla
domanda che le era stata rivolta. Tutto attorno le pareva uno scherzo, un gioco
assurdo della vita che adesso le mostrava cose impensabili, realtà alle quali
non si sentiva legata, come se una materia a lei sconosciuta avesse plasmato le
cose, le persone, i gesti e le parole di ognuno.
Disse fra sé:
“Ho soltanto bisogno di tempo; devo ancora definire cosa sono, chi sono, cosa
mi ha portato a questo punto negli ultimi anni, e fino a quando non lo faccio
non posso avere opinioni su niente, non ho una base sulla quale decidere di
cosa ho bisogno, o verso dove posso dirigermi…”. L’altra non comprese quelle
parole, ma si dispiacque di aver alzato la voce poco prima: era interessante
quella donna, sfuggiva ai criteri ordinari, adesso che poteva osservarla un po’
meglio le pareva proprio strana, diversa da tutte, forse persino con qualche
problema mentale.
Avrebbe
chiesto in giro qualche altra opinione su lei, e nel futuro si sarebbe ben
guardata dal non apparirle sempre sorridente e soprattutto bendisposta, pronta
a capire di più dei suoi modi, dei suoi atteggiamenti strani, risoluta nel
riuscire a sapere per prima cosa dentro di lei non andava, forte della sua
capacità di immaginare al volo le cose. In fondo, pensava adesso, non c’era
niente di male: era stato giusto litigare con lei, la comprensione delle cose
funzionava meglio così che non attraverso domande curiose.
Bruno
Magnolfi
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