Certo che spesso
tutto è confuso. Si tratta d’iniziare con il dire qualcosa pensando ad un
soggetto differente. Ci si impappina, si tossisce, si prende tempo. A volte le
domande di qualcuno o gli interrogativi propri ci incalzano, così, si cerca
immediatamente di recuperare, e anche se non si sa rispondere adeguatamente si
va avanti sulla linea di un pensiero che sia più largo, più aperto, più
confuso, maggiormente vago e ambiguo tra tutti quelli che possiamo avere a
disposizione. Si parla, insomma, e le parole fuoriescono indipendentemente dal
significato che hanno, come una materia informe nella quale siano compresi e
indistinti tutti i contenuti dei quali inizialmente forse volevamo dire, e che
adesso diciamo, ma incomprensibilmente.
La solitudine è
notevolmente più degna di studio ed attenzioni. Si tratta di raccontarsi
qualcosa mediante immagini e pensieri scollegati, dei quali se ne capisce con
evidenza il poco senso, ma andando ugualmente avanti se ne riesce spesso ad
affermare, assieme alle pochissime certezze, almeno il valore di pensato, ed
esso assume un peso evidentissimo tra ciò che siamo e ciò che vogliamo
dimostrare, confondendo del tutto ogni elemento iniziale, ed è vero, ma
restituendo a noi stessi una enorme determinazione. Siamo convinti, insomma, e
questo è quanto di più fantastico si potesse mai desiderare.
Suonò il telefono,
lui nella sua stanza scorrendo una rivista rispose. Un nuovo servizio, si
disse, che non poteva non apparire interessante. Qualcosa che denotava un senso
di modernità, di adeguatezza, di vita vera, lui disse dica. E il telefono con
quasi cento frasi a tre o quattro soggetti cadauna esplicò un insieme di cose
che portavano inesorabilmente verso l’accettazione passiva di quanto appena
detto, se non altro a dimostrare quell’attenzione e quella comprensione del
tutto necessarie in casi come quelli. Ma a lui non bastava e disse solo però,
ma se ne guardò bene più avanti dal ripeterlo ad evitare le altre cento frasi a
soggetti invertiti ancora più oscure e adesso dominate dalla fretta di evitare
l’inutilità delle lungaggini. Soltanto la sovrapposizione delle parole di un
dialogo monologante come quello era permessa, e al contrario quel silenzio di
un solo secondo alla fine di una domanda arrivata repentina che dovette
scomodamente essere ripetuta, fu giudicato il massimo del dimostrarsi poco
attento, poco sveglio, quasi tonto. Dovette dire va bene, lui, non comprendendo
cosa, ma apparendogli chiarissimo quanto quella voce nel telefono (forse di
donna?) avesse senza alcun dubbio qualsiasi dimostratissima ragione.
Bruno Magnolfi
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