Aveva
camminato molto quel giorno, in certi tratti di strada anche più lentamente del
solito, quasi svogliatamente. Aveva tempo, l’intera giornata a disposizione, e
passeggiare in città senza una meta precisa era per lui un’attività che gli
permetteva di ripensare agli ultimi tempi. Sapeva fin dall’inizio che nel suo
girare da una strada a quell’altra sarebbe inevitabilmente passato, forse anche
più di una volta, sotto l’appartamento dove lei abitava, ma quello era come un
elemento aggiuntivo, un incidente dei suoi percorsi mentali ordinari. Sapeva
che in quella casa lei non c’era durante molte ore del giorno, ma ugualmente
soltanto vedere quelle finestre, immaginare le stanze illuminate dal sole,
guardare quelle persiane manovrate ogni giorno dalle sue mani, erano tutti
elementi che lo facevano star bene, gli parlavano di lei in qualche modo.
Si era fermato
lungamente davanti alla vetrina di un negozio di decorazioni, e in mezzo a
quegli oggetti curiosi si era visto specchiato nel vetro, da solo. Non riusciva
a capire esattamente di che cosa avesse bisogno, in certi momenti gli pareva di
non avere più niente, che la sua faccia stralunata dentro ad una cornice là
dentro fosse davvero soltanto un effetto ottico, ma che stesse svanendo, come
le piantine nei vasi che seccano quando non vengono annaffiate per lunghi
periodi. Pensava alle cose che aveva da fare e gli parevano tutte sciocchezze,
cose da niente. Si sentiva come se avesse smarrito il senso delle giornate, che
tutto ormai andasse avanti come per forza di inerzia. Molte cose erano rimaste
non dette, incompiute, non spiegate. Gli veniva quasi istintivo riflettere:
“Devo ricordarmi di dire…, o di fare…”, e invece niente di questo era più
necessario, e qualche sorriso un po’ amaro pareva adesso distorcere la sua
espressione di sempre, anche dentro all’immagine di quella vetrina.
Forse provava
un piccolo dolore da qualche parte dentro di sé, ma tutto doveva continuare
come sempre, anzi, indifferentemente da qualsiasi stupido dolore. Si doveva
esser uomini, retti, tutti d’un pezzo, si era detto quella mattina prima di
uscire di casa: in fondo erano già ben due giorni che lei lo aveva lasciato. E
invece si sentiva come un frullato di frutta versato per sbaglio sopra un
vestito, roba che sporca, che quando cade non serve più a niente, solo un
fastidio. Anche il suo continuare a camminare lungo le vie sperando di
incontrare qualcosa o qualcuno che gli parlasse di lei era patetico, ma non
riusciva proprio a fare qualcosa di meglio.
Intanto era
arrivato a passare lungo la strada che conosceva da sempre, aveva rallentato
ancora l’andatura, aveva aspettato il più possibile per assorbire dall’aria
qualsiasi profumo potesse sapere ancora di lei, qualsiasi rumore di tacchi come
i suoi gli facesse girare la testa, qualsiasi vicino di casa in precedenza mai
salutato adesso gli avesse almeno sorriso per carità umana, come per accennare
ad una speranza, ad un piccolo barlume di possibilità. Poi arrivò davanti al
portone quasi senza respiro e lei da dentro lo aprì. Lui si fermò, si
guardarono senza alcuna parola, e niente del resto di tutto quel giorno fu più
minimamente importante.
Nessun commento:
Posta un commento