I
primi due si ritrovavano in una fotografia in bianco e nero, in cui si
riconosceva una giornata quasi estiva, le loro espressioni rilassate ma non
sorridenti, i corpi magri e immobili in una posizione qualsiasi, le braccia
inerti, disoccupate. Difficile era stabilire l’ultima volta in cui erano
effettivamente stati visti: il tempo passato e la memoria adesso erano in
genere artifici poco usati. Gli altri, con un po’ di fortuna, si potevano
ancora incontrare per strada, generalmente soli, con delle facce simili a
quelle che avevano sempre avuto, gli occhi pronti a scrutare negli scaffali di
una libreria o a leggere attentamente un volantino politico di poca importanza.
Farsi tornare
alla memoria quegli scambi frettolosi di dispense o di informazioni su
assistenti inafferrabili, lezioni saltate da recuperare chissà quando, o titoli
di testo fondamentali, sussurrati lungo i corridoi sempre freddi della facoltà,
era difficile e soprattutto doloroso: tutti sapevano che non sarebbe uscito
niente di rilevante dal loro interessarsi peraltro incostante di categorie
filosofiche, di smontaggio del pensiero, di correnti culturali essenziali per
gli intellettuali europei di cinquant’anni prima. Ma la ferrea determinazione e
l’entusiasmo avevano portato avanti tutto quanto per ciò che era stato
possibile, fino ad accorgersi poco per volta delle etichette che venivano
distribuite e si attaccavano per sempre. Tutti si erano defilati con poco
rumore, senza stare neanche troppo a darsi giustificazioni, e forse in qualche
serata tra amici avevano addirittura riso di se stessi, forse con un principio
di pianto nascosto in fondo agli occhi.
In altre
fotografie si intravedeva la ricerca di immortalare le sciocchezze del momento:
gli interessi sulle culture marginali, le varie fusioni, le ibridazioni che
dovevano sempre lasciar scaturire un’aderenza maggiore alla realtà, alla
verità, alla scoperta di tutto ciò che il potere teneva celato, se non a chi
sapeva saltare ben più in alto, fino a dare almeno un’occhiata furtiva di là da
ogni muro, e farsi una coscienza esatta di ciò che aveva sbirciato. L’arte vera
gravida di tutto, doveroso riconoscerla, portarne in giro il senso, l’effluvio,
l’afflato principale. Il dibattito era costantemente aperto in riunioni furtive
e casuali.
Marcello poi
aveva iniziato a fare le supplenze, sempre più lunghe, sempre più lavoro. Aveva
cercato di conservare i contatti, le amicizie, ma tutto si sfaldava, ogni
elemento era riassorbito dall’ordinarietà. Anche gli altri non si riconoscevano
più in niente, ma se quella era la strada, nessun isolato tra tutti poteva
ormai opporsi a quel lento e costante divenire. Così ognuno si perse, o meglio cercò
una strada propria, scavando in quel piccolo personalismo che poteva fruttare
almeno la
sopravvivenza. Siccome divenne doloroso ripensare tutto, si
smise anche di farlo, nascendo una seconda volta, in una realtà più definita,
dimenticando persino l’ultima volta in cui la comprensione delle cose era stata
lì, assieme a loro. La costruzione del futuro passava sopra a tutto, un nuovo
mattone era stato posato, l’effetto doveva per forza risultare positivo.
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