martedì 6 aprile 2010

Sotto osservazione.

            

            Lui camminava, incontrava le persone lungo ai marciapiedi, si osservava attorno. Registrava dentro alla sua testa tutto quello che gli sembrava vagamente anomalo, gli aspetti non strettamente ordinari delle cose. Aveva voltato l’angolo di quella nota strada centrale, conservando modi distaccati e indifferenza. Poi aveva preso il suo taccuino ed aveva velocemente annotato il punto esatto in cui le telecamere dell’agenzia bancaria erano installate, con un’angolazione tale, a suo modo di vedere, da riprendere tutti i passanti lungo il marciapiede. Poi aveva continuato a camminare, era andato ancora avanti, secondo il suo programma, fino all’angolo opposto della strada, dove un altro occhio elettronico era puntato proprio sul passaggio pedonale.
Dopo diverse settimane di rilevamenti ormai gli appariva chiaro quasi tutto il quartiere: aveva annotato tutto di ogni visibile apparecchio fisso da ripresa sul suo taccuino, e poi, una volta a casa, aveva riportato ogni indicazione rilevata sopra ad una cartina dettagliata della zona. Non che ci tenesse particolarmente ad introdurre quei particolari sulla pianta, però voleva conoscere con precisione le aree dove i suoi passi non erano del tutto irrilevanti, dove c’era qualcuno che sondava ogni atteggiamento, qualsiasi gesto anomalo. Poco per volta aveva ormai memorizzato tutto quello che per anni si era sentito curioso di conoscere. Certe volte, passeggiando lungo alcune strade, gli era parso come di vedersi dentro ai monitor o negli schermi video: con il suo passo indifferente, la sua solita aria distaccata, le sue maniere identiche di chi si interessa di tutto e di nulla. Poco per volta si era reso conto che quasi non esisteva spazio pubblico esterno agli edifici dove, in tutto quel quartiere centrale, si era sicuri di non essere guardati da qualche telecamera.
Qualcuno ne aveva parlato sui giornali o in televisione, altri se ne dispiacevano, si sentivano osservati, controllati e forse poco liberi, ma non certo lui. Lui girava per le strade di tutta quella zona, camminava in lungo e in largo davanti alle sedi delle assicurazioni, al palazzo municipale, alle banche, e si sentiva bene, a proprio agio. Certe volte si fermava, per nessun motivo, sostava proprio sotto ad uno di quegli aggeggi forniti di obiettivo, ed era sicuro di essere osservato, che qualcuno in quel momento stesse lì ad interpretare quelle sue azioni, quei suoi movimenti. In fondo non aveva niente da nascondere, poteva anche permettersi di fare tutto quello che reputava giusto. Difatti si guardava attorno, scrutava tutti gli angoli, perlustrava chiunque per un qualsiasi motivo lo stesse fissando, come sentendo su di sé quello sguardo puntato pronto a registrarne i movimenti. Poi sorrideva, come chi sa di non avere alcun segreto, ed era contento che ci fosse chi annotava il suo sorriso, il suo abito grigio, la sua espressione anonima.
Si sentiva più importante, ogni volta che sapeva di essere ripreso, come se il suo camminare, la sua passeggiata ordinaria, i suoi modi di fare, assumessero un aspetto nuovo, un significato ulteriore, un’importanza che difficilmente avrebbero avuto in altro caso. Quando lui in seguito smise di andare a passeggiare in quel quartiere, un po’ se ne dispiacque, ma non poteva ormai fare altrimenti: le registrazioni di tutte quelle telecamere dovevano essere piene di ogni sua immagine. Si era fatto riprendere per mesi, vestito in tutte le maniere possibili, con le espressioni più diverse. Adesso aveva perso il gusto e il senso di quel suo farsi osservare, e forse, aveva pensato, la mancanza della sua persona sopra ai marciapiedi, da parte di chi era addetto al controllo, sarebbe senz’altro stata notata, forse addirittura più della presenza; e questo era l’aspetto formidabile, mancava lui a qualcuno, lui che non era niente, non si era mai sentito niente.


            Bruno Magnolfi

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