Lui
camminava, incontrava le persone lungo ai marciapiedi, si osservava attorno.
Registrava dentro alla sua testa tutto quello che gli sembrava vagamente
anomalo, gli aspetti non strettamente ordinari delle cose. Aveva voltato
l’angolo di quella nota strada centrale, conservando modi distaccati e
indifferenza. Poi aveva preso il suo taccuino ed aveva velocemente annotato il
punto esatto in cui le telecamere dell’agenzia bancaria erano installate, con
un’angolazione tale, a suo modo di vedere, da riprendere tutti i passanti lungo
il marciapiede. Poi aveva continuato a camminare, era andato ancora avanti,
secondo il suo programma, fino all’angolo opposto della strada, dove un altro
occhio elettronico era puntato proprio sul passaggio pedonale.
Dopo diverse
settimane di rilevamenti ormai gli appariva chiaro quasi tutto il quartiere:
aveva annotato tutto di ogni visibile apparecchio fisso da ripresa sul suo
taccuino, e poi, una volta a casa, aveva riportato ogni indicazione rilevata
sopra ad una cartina dettagliata della zona. Non che ci tenesse particolarmente
ad introdurre quei particolari sulla pianta, però voleva conoscere con
precisione le aree dove i suoi passi non erano del tutto irrilevanti, dove
c’era qualcuno che sondava ogni atteggiamento, qualsiasi gesto anomalo. Poco
per volta aveva ormai memorizzato tutto quello che per anni si era sentito
curioso di conoscere. Certe volte, passeggiando lungo alcune strade, gli era
parso come di vedersi dentro ai monitor o negli schermi video: con il suo passo
indifferente, la sua solita aria distaccata, le sue maniere identiche di chi si
interessa di tutto e di nulla. Poco per volta si era reso conto che quasi non
esisteva spazio pubblico esterno agli edifici dove, in tutto quel quartiere
centrale, si era sicuri di non essere guardati da qualche telecamera.
Qualcuno ne
aveva parlato sui giornali o in televisione, altri se ne dispiacevano, si
sentivano osservati, controllati e forse poco liberi, ma non certo lui. Lui
girava per le strade di tutta quella zona, camminava in lungo e in largo
davanti alle sedi delle assicurazioni, al palazzo municipale, alle banche, e si
sentiva bene, a proprio agio. Certe volte si fermava, per nessun motivo,
sostava proprio sotto ad uno di quegli aggeggi forniti di obiettivo, ed era
sicuro di essere osservato, che qualcuno in quel momento stesse lì ad
interpretare quelle sue azioni, quei suoi movimenti. In fondo non aveva niente
da nascondere, poteva anche permettersi di fare tutto quello che reputava
giusto. Difatti si guardava attorno, scrutava tutti gli angoli, perlustrava
chiunque per un qualsiasi motivo lo stesse fissando, come sentendo su di sé
quello sguardo puntato pronto a registrarne i movimenti. Poi sorrideva, come
chi sa di non avere alcun segreto, ed era contento che ci fosse chi annotava il
suo sorriso, il suo abito grigio, la sua espressione anonima.
Si sentiva più
importante, ogni volta che sapeva di essere ripreso, come se il suo camminare,
la sua passeggiata ordinaria, i suoi modi di fare, assumessero un aspetto
nuovo, un significato ulteriore, un’importanza che difficilmente avrebbero avuto
in altro caso. Quando lui in seguito smise di andare a passeggiare in quel
quartiere, un po’ se ne dispiacque, ma non poteva ormai fare altrimenti: le
registrazioni di tutte quelle telecamere dovevano essere piene di ogni sua
immagine. Si era fatto riprendere per mesi, vestito in tutte le maniere
possibili, con le espressioni più diverse. Adesso aveva perso il gusto e il senso
di quel suo farsi osservare, e forse, aveva pensato, la mancanza della sua
persona sopra ai marciapiedi, da parte di chi era addetto al controllo, sarebbe
senz’altro stata notata, forse addirittura più della presenza; e questo era
l’aspetto formidabile, mancava lui a qualcuno, lui che non era niente, non si
era mai sentito niente.
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