La
lampada illumina il piano dello scrittoio in modo implacabile, con la sua luce
decisa, definita. Osservo i pochi oggetti là sopra, le carte disordinate, le
matite, i piccoli abbozzi di disegno che ho già tentato più volte. Non so, non
riesco a capire: è come se le idee per questo soggetto che vorrei disegnare
fossero tutte fuggite, e niente di me fosse in grado di richiamarle, di
renderle presenti davanti ai miei occhi.
Poi prendo
tempo, mi muovo, spengo la lampada, torno a riaccenderla. Ecco che dietro al
mio sguardo nasce qualcosa, come una nostalgia verso un evento che non ho mai
vissuto, ma infine anche questo barlume si attenua e sparisce del tutto. Suona
alla porta il ragazzo del bar sotto casa: mi ha portato due sandwich, una
birra, le solite cose, prendo il sacchetto di carta, cerco i soldi che lui
attende di avere. Prima di lasciarlo andar via gli rivolgo una domanda, così,
senza avvisarlo. Lui risponde con un semplice sorriso, lo sa che sono uno
strano, c’è da aspettarsele da uno come me delle uscite un po’ insolite.
Ma prima di
andarsene giù per le scale, si ferma un momento, si volta, mi guarda, dice
soltanto: “Il mare; si, il mare è la cosa più difficile da disegnare”, e poi se
ne va. Ha ragione, penso, è questa la risposta più giusta. Il senso del mare è
impossibile da cogliere in un solo disegno; si può fermarne un aspetto,
un’onda, la riva, l’orizzonte, ma non l’idea complessiva del mare.
Torno alla mia
lampada e al piano dello scrittoio: adesso lo so quale sarà il tema da
disegnare stasera, qualcosa che non sarò mai capace di completare, e siccome
non riuscirò ad esaurirlo, il mio disegno rimarrà aperto, da concludere,
soggetto a variazioni infinite.
Bruno
Magnolfi
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