<<Ciao
mamma>>, dice con semplicità lui al telefono. Poi c’è un attimo di
silenzio, come una sospensione, immersa in un debole brusio elettrico dato
dalle connessioni instabili. <<Niocke>>, dice infine sull’immediato
una voce femminile, lontana, quasi con tono incredulo. Poi aggiunge con gioia: <<Sapevo
che avresti chiamato, lo sapevo, anche se i soldi che ci hai spedito hanno
sempre parlato di te, dei tuoi giorni, del tuo essere riuscito ad inserirti in
Europa, proprio come desideravi>>. Quindi vorrebbe lasciarsi andare a piangere
per l’emozione, ma riesce a trattenersi, anche se non ha voce per altre parole
da pronunciare, e non è capace neppure di formulare delle domande, anche per
non riempire il momento di ordinarie banalità. Anche Niocke è emozionato, si fa
forte del fatto che adesso può dire a sua mamma che va davvero tutto bene, che lui
si sta sistemando, che ha un lavoro, che dove si trova ci sono persone che gli
vogliono bene, che addirittura gioca al calcio nella squadra locale del paese
dove abita. Ma cosa importa adesso tutto questo, ciò che è stato affrontato
fino a questo momento è lì, tra loro due che singhiozzano nel telefono, e la
sofferenza di sfidare un distacco così doloroso, così innaturale, così pensato
e ripensato mille volte nelle notti insonni prima della partenza, ora si stende
piano lungo quella debole connessione di cavi e di segnali elettrici.
<<Se
tu stai bene, io sono contenta, felice>>, dice la mamma con voce debole,
appena sussurrata, e lui sa soltanto dire di sì, che è vero, che va tutto bene,
che è stata fatta la scelta giusta, che le cose non potevano andare in
nessun’altra maniera per lui, perché ci credeva, ci ha sempre creduto, e che
era proprio quello il percorso da affrontare, e non ce n’era nessun altro
possibile. Poi la mamma, incapace oramai di parlare, chiama le due sorelle di
Niocke al telefono, per fargli dire qualcosa, per salutarlo col calore della
famiglia, dopo tanto tempo, e loro subito urlano, sono contente, il loro
fratello ce l’ha fatta, si è sistemato, sta bene, e i soldi che riesce ad
inviare ogni mese per loro sono importanti, fondamentali, anche per il futuro di
tutta la famiglia. Lui si rallegra, sono più piccole d’età di lui, e lui si è
sempre sentito un po’ il loro tutore, e quindi anche per questo è partito dal
Senegal per affrontare un viaggio allucinante e lunghissimo, pieno di insidie e
di sofferenza, perché il suo sostegno un giorno diventasse la pietra angolare
della casa che ha dovuto lasciare. Impossibile trovare le parole adatte per
descrivere tutto quel tempo da quando è partito dalla sua città, ma forse non
ha alcuna importanza, perché il passato è alle spalle, ed è soltanto il
presente quello che conta.
Poi cade la
linea, ed era prevedibile, tanto che Niocke non prova neppure a ricomporre il
numero telefonico, ma oramai quello che c’era da dire è già stato detto, e
quello che conta sta semplicemente in quel contatto di pochi minuti. Adesso lui
potrà scrivere una lunga lettera in cui descriverà la sua nuova vita, in cui
nominerà le persone che lo stanno aiutando, ciò che ha trovato da fare per
guadagnare dei soldi, come trascorrono le sue giornate, cosa spera di fare nel
prossimo futuro, tutto quello che adesso riempie il suo tempo lontano dal
Senegal. Ogni bambino che nasce in quella terra sa che prima o dopo dovrà fare
i conti con la migrazione, questa parola orrenda che spiega tutto dei
sentimenti nascosti dentro ad ogni persona del posto. Una dannazione, un
destino, un’incombenza che grava su ogni famiglia con poche risorse, e che nessuno
è capace di scrollarsi di dosso se non affrontandola e pianificandone i
possibili risultati. C’è un incubo dietro alle madri che mettono al mondo i
loro bambini, ed è quello di perderli quando saranno appena più grandi, di
doverli salutare in un giorno qualunque, per rivederli soltanto nel caso in cui
loro siano stati molto fortunati, oppure mai più. Niocke forse ce l’ha fatta, è
riuscito nel suo intento, ha avuto la perseveranza di andare sempre avanti, anche
se la lotta ingaggiata non è certo finita.
Non dirà
mai, in quelle lettere che da adesso in avanti conta di scrivere alla sua
famiglia, che è stato addirittura picchiato da qualcuno che non desiderava dargli
la possibilità di vivere nel luogo dove è stato catapultato da chissà quale
combinazione di cose. Così come non dirà mai che è passato dalle mani di
trafficanti senza scrupoli prima di arrivare fin lì. Cosa importano le
sofferenze subite, pensa adesso. Ciò che conta è ciò che sei, quello che sei
capace di dare agli altri, questo far parte di una vera comunità di persone, le
quali lavorano e si adoperano ognuna per il bene dell’altra, mettendo assieme
giorno per giorno il proprio pezzetto d’impegno per far funzionare le cose. Poi
citerà tutti coloro che lo hanno aiutato e che continuano ad aiutarlo, dandogli
fiducia, sostenendo i suoi sforzi per essere integrato tra tutti, perché è solo
così che ogni miracolo si mostra possibile.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento