venerdì 26 settembre 2025

Questi problemi.


            Mia cugina Sara anche oggi attende la corriera come tutti gli altri ragazzi che si recano nel capoluogo per frequentare il liceo, in piedi nella piazza dove il mezzo pubblico fa una larga manovra dopo aver sostato qualche minuto, prima di riprendere la strada che porta fuori dal paese. La trovo cambiata in questi ultimi tempi, molto più seria e sicura di sé, come se tutta questa faccenda attorno a quel ragazzo senegalese le avesse dato una spinta a superare d’un colpo le proprie timidezze, e a mostrarsi più adulta, convinta delle proprie idee, capace di sostenere qualsiasi conversazione con degli argomenti sempre concreti e ragionati. Mi piacciono i modi di fare che è riuscita a trovare da poco, sembra quasi che quella ragazzina senza personalità pronta ad arrossire fino a ieri per ogni sciocchezza, sia rimasta rinchiusa una volta per tutte dentro l’armadio dell’adolescenza, e che adesso persino i suoi gesti, ad esempio nel momento in cui si mette a parlare distrattamente con qualcuno degli altri ragazzi, riescono a mostrare una sicurezza di sé che fino a poco fa non aveva affatto. Proseguo ad osservarla, ma senza insistenza, proprio per non farmi scoprire incuriosito da lei e da quello che dice, ma in effetti vorrei tanto sapere dove possa aver trovato le certezze che snocciola con sicurezza a quei ragazzi e a quelle ragazze che sembra in questo momento abbiano scoperto in lei il loro principale personaggio di riferimento, almeno per quanto riguarda la manifestazione di piazza che è riuscita rapidamente ad organizzare in questo paesetto generalmente ottuso e privo di desideri per tutto ciò che fa capo a qualsiasi novità che si profila all’orizzonte.

            All’improvviso Sara volge uno sguardo fulmineo verso di me, come sapesse da chissà quanto tempo di essere stata osservata, esprimendo al mio indirizzo un leggero sorriso, quasi una maniera per riconoscere che non ci sono problemi, che posso parlarle se voglio, e avvicinarmi di più senza alcuna preoccupazione, perché non ha dei segreti, e non considera nessuno, tra tutti coloro che conosce e che frequenta, un vero estraneo rispetto ai suoi punti di vista. Smorzo una breve risata, mi avvicino a lei senza guardarla, poi le dico per scherzo che oramai in paese non si fa niente senza la sua accettazione preventiva, e lei sorride, solleva le spalle, finge di non essere orgogliosa di sé come invece dev’essere. <<Hai già pensato a che cosa fare il giorno successivo dopo questo benedetto corteo?>>, le chiedo come per mostrarle una preoccupazione che forse potrebbe affacciarsi nella sua mente una volta esaurito l’immediato entusiasmo che le può provocare la buona riuscita di questa manifestazione. Lei ci pensa un momento, mi guarda, poi dice: <<Sono già in contatto con delle associazioni che si occupano di questi temi, però mi piacerebbe creare anche qui un nucleo di ragazzi che desiderano portare avanti delle battaglie contro il razzismo. Potresti addirittura darmi una mano, se magari riesci a trovare del tempo libero>>, mi chiede infine, ma come per sfida.

            Torno a guardarla, adesso siamo davvero vicini, e così riesco a notare delle sottili fossette sulle sue guance a cui precedentemente non avevo mai fatto caso, e devo riconoscere che il suo attivismo mi stuzzica, riesce a farmi sentire più vivo, in grado di porre a tutti il mio parere, anche se non desidero affatto mostrarle che sono il tipo di persona subito disponibile a qualsiasi proposta. <<Sono contento se tu porti avanti le tue convinzioni, e comunque mi piacerebbe che nel corso del tempo mi tenessi informato su tutto quanto, nella speranza che forse qualche minuto per darti un aiuto io riesca davvero a trovarlo>>. Rido, la mia è quasi un’accettazione di qualcosa che al momento addirittura mi sfugge, ma sento di non avere alcun bisogno di chiarire meglio le mie parole, o addirittura riformulare i miei desideri tirandomi un po’ indietro. <<Ci sono dei ragazzi in città che si riuniscono spesso per discutere sui problemi dell’integrazione. Potremo farlo anche qui, e poi fare dei sondaggi per comprendere quale sia l’opinione dei nostri concittadini a riguardo>>, dice lei come se avesse già preparato da tempo tutto questo discorso. <<Ci sono dei migranti che hanno scritto dei diari dettagliati sul loro calvario per espatriare; potremo farceli spedire, e magari leggerli ad altri in certe serate, anche solamente citando i passi più intensi e salienti dei loro racconti>>. <<Va bene>>, le dico, anche perché vedo sopraggiungere ormai la corriera. <<Questa cosa dei diari da leggere mi pare interessante; potremo spulciarne qualche pagina a voce alta e poi discuterne, ad esempio>>.

            Poi saliamo sul mezzo pubblico sbuffante, che si è fermato in una piccola nuvola di gas di scarico, ed io, invece di sedermi come sempre nella parte anteriore, vado a posizionarmi in fondo, due file di sedili più avanti rispetto a dove si sistemano Sara e la sua amica Laura. Ambedue adesso mi guardano sorridendo, e fanno un lieve cenno di assenzo nei miei confronti, come se anch’io finalmente fossi stato davvero accettato tra tutti i ragazzi che si stanno occupando di questi problemi.

 

            Bruno Magnolfi


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