Mia cugina
Sara anche oggi attende la corriera come tutti gli altri ragazzi che si recano
nel capoluogo per frequentare il liceo, in piedi nella piazza dove il mezzo
pubblico fa una larga manovra dopo aver sostato qualche minuto, prima di
riprendere la strada che porta fuori dal paese. La trovo cambiata in questi
ultimi tempi, molto più seria e sicura di sé, come se tutta questa faccenda
attorno a quel ragazzo senegalese le avesse dato una spinta a superare d’un
colpo le proprie timidezze, e a mostrarsi più adulta, convinta delle proprie
idee, capace di sostenere qualsiasi conversazione con degli argomenti sempre
concreti e ragionati. Mi piacciono i modi di fare che è riuscita a trovare da
poco, sembra quasi che quella ragazzina senza personalità pronta ad arrossire fino
a ieri per ogni sciocchezza, sia rimasta rinchiusa una volta per tutte dentro
l’armadio dell’adolescenza, e che adesso persino i suoi gesti, ad esempio nel
momento in cui si mette a parlare distrattamente con qualcuno degli altri
ragazzi, riescono a mostrare una sicurezza di sé che fino a poco fa non aveva
affatto. Proseguo ad osservarla, ma senza insistenza, proprio per non farmi scoprire
incuriosito da lei e da quello che dice, ma in effetti vorrei tanto sapere dove
possa aver trovato le certezze che snocciola con sicurezza a quei ragazzi e a
quelle ragazze che sembra in questo momento abbiano scoperto in lei il loro principale
personaggio di riferimento, almeno per quanto riguarda la manifestazione di
piazza che è riuscita rapidamente ad organizzare in questo paesetto generalmente
ottuso e privo di desideri per tutto ciò che fa capo a qualsiasi novità che si profila
all’orizzonte.
All’improvviso
Sara volge uno sguardo fulmineo verso di me, come sapesse da chissà quanto tempo
di essere stata osservata, esprimendo al mio indirizzo un leggero sorriso,
quasi una maniera per riconoscere che non ci sono problemi, che posso parlarle
se voglio, e avvicinarmi di più senza alcuna preoccupazione, perché non ha dei
segreti, e non considera nessuno, tra tutti coloro che conosce e che frequenta,
un vero estraneo rispetto ai suoi punti di vista. Smorzo una breve risata, mi
avvicino a lei senza guardarla, poi le dico per scherzo che oramai in paese non
si fa niente senza la sua accettazione preventiva, e lei sorride, solleva le
spalle, finge di non essere orgogliosa di sé come invece dev’essere.
<<Hai già pensato a che cosa fare il giorno successivo dopo questo
benedetto corteo?>>, le chiedo come per mostrarle una preoccupazione che
forse potrebbe affacciarsi nella sua mente una volta esaurito l’immediato entusiasmo
che le può provocare la buona riuscita di questa manifestazione. Lei ci pensa
un momento, mi guarda, poi dice: <<Sono già in contatto con delle
associazioni che si occupano di questi temi, però mi piacerebbe creare anche
qui un nucleo di ragazzi che desiderano portare avanti delle battaglie contro
il razzismo. Potresti addirittura darmi una mano, se magari riesci a trovare del
tempo libero>>, mi chiede infine, ma come per sfida.
Torno a
guardarla, adesso siamo davvero vicini, e così riesco a notare delle sottili
fossette sulle sue guance a cui precedentemente non avevo mai fatto caso, e
devo riconoscere che il suo attivismo mi stuzzica, riesce a farmi sentire più
vivo, in grado di porre a tutti il mio parere, anche se non desidero affatto
mostrarle che sono il tipo di persona subito disponibile a qualsiasi proposta.
<<Sono contento se tu porti avanti le tue convinzioni, e comunque mi
piacerebbe che nel corso del tempo mi tenessi informato su tutto quanto, nella
speranza che forse qualche minuto per darti un aiuto io riesca davvero a
trovarlo>>. Rido, la mia è quasi un’accettazione di qualcosa che al
momento addirittura mi sfugge, ma sento di non avere alcun bisogno di chiarire
meglio le mie parole, o addirittura riformulare i miei desideri tirandomi un
po’ indietro. <<Ci sono dei ragazzi in città che si riuniscono spesso per
discutere sui problemi dell’integrazione. Potremo farlo anche qui, e poi fare
dei sondaggi per comprendere quale sia l’opinione dei nostri concittadini a
riguardo>>, dice lei come se avesse già preparato da tempo tutto questo
discorso. <<Ci sono dei migranti che hanno scritto dei diari dettagliati sul
loro calvario per espatriare; potremo farceli spedire, e magari leggerli ad
altri in certe serate, anche solamente citando i passi più intensi e salienti
dei loro racconti>>. <<Va bene>>, le dico, anche perché vedo
sopraggiungere ormai la corriera. <<Questa cosa dei diari da leggere mi
pare interessante; potremo spulciarne qualche pagina a voce alta e poi
discuterne, ad esempio>>.
Poi saliamo
sul mezzo pubblico sbuffante, che si è fermato in una piccola nuvola di gas di
scarico, ed io, invece di sedermi come sempre nella parte anteriore, vado a
posizionarmi in fondo, due file di sedili più avanti rispetto a dove si
sistemano Sara e la sua amica Laura. Ambedue adesso mi guardano sorridendo, e fanno
un lieve cenno di assenzo nei miei confronti, come se anch’io finalmente fossi
stato davvero accettato tra tutti i ragazzi che si stanno occupando di questi
problemi.
Bruno
Magnolfi
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