Avevo iniziato a parlare davanti
all’assemblea dei soci desiderando spiegare, per quanto mi era possibile, i
motivi per cui non avrei potuto presentarmi come candidato alle elezioni,
adesso che il nostro vecchio presidente aveva rassegnato le proprie dimissioni
per importanti ragioni di salute. Tutti mi avevano applaudito a lungo prima
ancora che iniziassi il mio discorso, quasi che la mia elezione a presidente
fosse data per scontata, ed io avevo immaginato di inanellare i miei argomenti
provando a spiegare con quanto rincrescimento rinunciavo ad una carica di cui
non mi sentivo all’altezza e che ritenevo adatta ad una persona più giovane di
me, qualcuno che avesse l’entusiasmo necessario per portare avanti le battaglie
e proseguire con tenacia i nostri scopi.
Ma dopo le
prime parole mi era accorto di aver perso completamente il filo del discorso,
forse perché mi ero distratto, e che all’improvviso le parole, pur continuando
ad uscire dalla mia bocca, pareva come non mi appartenessero, quasi che a
parlare fosse un’altra persona al posto mio. Cercai di prendere tempo, bere un
po’ d’acqua davanti alla platea attenta, ma la chiarezza nella mia mente non
parve ritornare. Così cercai aiuto da argomenti consueti che poco avevano a che
fare con il senso di ciò che avrei voluto dire, ingarbugliando del tutto le
cose e finendo per non spiegare assolutamente niente delle mie ragioni.
La
segretaria dell’associazione allora, forse vedendomi in difficoltà, chiese
gentilmente la parola per articolare nei miei confronti una domanda semplice ed
essenziale, che riassumeva in modo chiaro ciò che l’assemblea si attendeva dal
mio intervento, ma io, al contrario di rispondere e spiegare i motivi per cui
non avrei potuto assumere la presidenza pensando addirittura di dimettermi da
qualsiasi incarico e forse abbandonare l’associazione, dissi timidamente solo:
“si…”, lasciando all’ambiguità più completa l’interpretazione di ogni cosa.
L’applauso, partito spontaneo dopo una piccola perplessità, parve coprire
qualsiasi altra ragione, cancellando ogni possibile recriminazione su
quell’argomento.
Fu allora che in silenzio mi sollevai dalla sedia di
faccia alla platea, feci quattro o cinque passi malfermi per uscire da dietro
al tavolo della direzione, e d’improvviso mi lasciai andare a terra, cadendo
malamente sui gradini della pedana in mezzo ad una immediata confusione senza
pari. Fui prontamente soccorso da tutti i vicini e subito assistito da un
medico fortunatamente presente alla riunione, e persi i sensi ma solo per pochi
attimi, per poi chiedere di mia moglie, dei miei figli, quasi fossi in fin di
vita. Dopo poco arrivò anche un’ambulanza e fui trasferito in ospedale, ma non
mi ripresi se non dopo qualche giorno, quando ai medici fu evidente che le mie
capacità cerebrali erano ormai inevitabilmente compromesse. Tutti vennero a
fare visita al mio letto d’ospedale, in molti mi strinsero la mano, qualcuno
parve anche commosso, ma a nessuno venne più in mente di parlarmi della nostra
associazione, lasciandomi di fatto finalmente in pace.
Bruno
Magnolfi