Eri là,
in mezzo alla via, con uno sguardo quasi assente, dei modi svogliati, di chi
non è proprio contento di sé, delle proprie cose. Nel salutarti mettevo io per
tutt’e due la contentezza e la meraviglia del nostro incontro, tu guardavi
attorno qualcosa, come a cercare una via di fuga, la necessità quasi di
cancellare quei sentimenti di amicizia che ti rivendicavo.
Non
è tutto come si immagina, dicevi, il tempo assorbe spesso delle cose che poi
non si rigenerano, e si rimane poi privi di voglie, di entusiasmo, come vuoti.
Ti giustificavi senza che io ti avessi chiesto niente. Poi parlavi di te, del
tuo lavoro, come se la vita fosse quello, come se non esistesse qualcosa di
maggiormente importante, di superiore. Riempivi quell’enorme vuoto di anni con
una manciata di parole, un sorriso amaro a mezza bocca, un’occhiata veloce in
fondo alla strada, a scrutare qualcosa che potesse portarti ancora via, nella
tua fuga perenne anche da te stesso.
Sei
rimasto il solito, dicevo tanto per dire, con il bisogno fortissimo dentro di
scoprire che era vero, che era così, laddove niente di te era davvero simile a
ciò che ricordavo. Perché mai i ricordi e la nostalgia delle persone migliorano
certe volte dentro alle nostre povere teste che continuano ad elaborare tutta
questa serie di frammenti, di scorci, di espressioni, di cose fatte e cose
immaginate, in un confuso materiale che non rammenta più quale sia la verità?
Che assurda parola, pensavo guardandoti, questa verità.
Rimanevo
in silenzio, non avevo parole né sguardi adatti a colmare quel vuoto che adesso
prendeva anche me, come se nulla ormai avesse più senso, come se proprio
l’indifferenza dovesse per forza trionfare. Dicevo ancora qualcosa ormai
svogliatamente, ma non aveva alcun significato il mio cercare di salvarti per
archiviare quella fotografia in bianco e nero che conservavo di te da qualche
parte, unico reperto della nostra amicizia di non so più quanti anni fa. C’era
del falso in quell’immagine, tanto valeva strapparla, gettarla via con
coraggio, e dimostrare superiorità agli stupidi sentimentalismi.
Poi
tu dicevi: devo andare; io annuivo rassegnato, ma tu voltavi ancora la testa
verso di me, forse ricordando qualcosa. Io pensavo al nostro ordinario
dimostrarsi recalcitranti ogni mattina, per il lavarsi gli occhi da tutti quei
sogni che si erano posati là sopra nella notte, e ti guardavo come imbambolato
di sonno, di immagini distorte, ancora in una strenua attesa. C’era qualcosa,
dicevi, che avevo da spiegarti, qualcosa dei nostri anni di ragazzi; ma adesso,
dopo tutto questo tempo, me la sono scordata, mi dispiace. Fa niente, dicevo
io, in fondo siamo solo persone: smemorati, superficiali, pieni di tanti altri
difetti che non riesco neppure ad elencare, con tanti atteggiamenti stupidi, da
rivedere, spesso contraddittori e anche poco credibili; ma forse, alla fin
fine, siamo rimasti soltanto dei ragazzi, quasi degli sciocchi, degli emeriti
egoisti che non riescono neppure a ricordarsi di essere stati tra loro degli
amici veri.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento