L’uomo, da solo, scruta il piccolo
tavolo tondo e la sedia dove intende mettersi comodo. La sua giornata è già
colma di indecisioni, sente che il tempo scivola inevitabilmente e lui non
riesce a dare un indirizzo alle cose. Ha guardato le sue scarpe camminare, ha
sentito la sua voce riferirsi a qualcuno, ma questo non ha significato
alcunché. Forse neppure gli interessa dare un senso preciso al suo giorno,
forse la sua ricerca di faccende di cui occuparsi è solo l’ennesimo tentativo
per scoprire qualcosa di se stesso. Infine si siede, ma dopo un primo momento
reputa inutile e quasi dannoso quel gesto.
Il locale gli piace, c’è calma, ogni cosa sembra stare ben posizionata
al suo posto, e fuori dalla vetrata la strada al contrario continua ad essere
l’anarchica mescolanza di tutto.
Si avvicina
con metodo un cameriere, chiede gentilmente cosa desidera, l’uomo dice, senza
guardarlo, il piatto del giorno e un quarto di vino. Non ha fame, è evidente,
ma l’abitudine a sedersi ad un tavolo e di mangiare a quell’ora che spacca la
monotonia della giornata è così forte che non si sente in grado di fare
resistenza. Ha un piccolo notes dentro alla tasca, lo estrae, rilegge gli
appunti delle cose che avrebbe voluto fare quella mattina, si rende conto che
non ne ha compiuta nessuna.
Niente di
nuovo, è normale perdersi in mille altre cose che per via gli vengono a mente,
anzi, forse il suo incaponirsi ad annotare le cose da fare, ha proprio il senso
della smentita, del disattendere scientifico di ogni proposito. Che cosa può
essere mai una giornata qualsiasi, trascorsa da solo girando per strada con
mille pensieri e altrettante divagazioni, se non lo scegliere a braccio in ogni
momento le cose da fare, decidere volta per volta dove andare, dove fermarsi,
in che cosa occupare un po’ di quel tempo?
Nel
bar-ristorante c’è poca gente, ognuno di loro nuota all’interno della propria
indifferenza per tutto, il cameriere si affretta a servire le ordinazioni per
restarsene poi immobile in qualche angolo fuori dalla vista. In fondo alla sala
c’è un uomo, da solo, potrebbe essere lui. Ha finito già di mangiare, così
legge il giornale, aspetta, lascia trascorrere il tempo. Non c’è niente che
assomigli ai suoi gesti, ai suoi modi di fare, eppure qualcosa li unisce.
Infine si alza, saluta con un gesto il cameriere, passa vicino al suo tavolo
tondo ed esce, senza alcuna incertezza.
L’uomo
vorrebbe alzarsi a sua volta, raggiungerlo, chiedergli di spiegargli dove stia
il suo errore, perché continua a sentire dentro di sé l’angoscia di aver solo
perso del tempo, di non essere riuscito neanche stavolta ad essere utile, di
non aver messo a frutto di nuovo quel tempo che continua a scorrere e a finire
nel niente. Poi osserva quel suo simile mentre scorre lungo la strada, oltre la
vetrata, dove il marciapiede è ingombro di gente: niente ha senso, riflette; va
accettato così tutto quanto, sollevare la testa dai propri pensieri e camminare
verso qualcosa, lungo un qualsiasi marciapiede.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento