Lei era
rientrata dentro casa, nell’ingresso si era tolta il soprabito, aveva dato
giusto uno sguardo dentro allo specchio ovale, come sempre faceva quando ci
passava davanti, (era qualcosa di cui non riusciva a fare a meno), poi si era
affacciata al piccolo studio. Lui si era voltato, l’aveva osservata: ciao,
aveva detto con un certo distacco. Lei lo aveva guardato, ma non aveva
risposto, limitandosi ad una semplice occhiata, poi si era subito spostata
nella stanza adiacente, aveva pigiato il pulsante della televisione e si era
seduta su una poltrona, accendendosi una delle sue sigarette e preoccupandosi
immediatamente del posacenere.
Sul
tavolino basso, di vetro, aveva osservato un foglio piegato del quale non aveva
memoria, così lo aveva preso ed aperto, giusto per leggere la pubblicità di
qualcosa. Si sentiva nervosa, non le piaceva quello starsene lì senza combinare
un bel niente, così aveva preso con sé il posacenere per spostarsi in cucina.
Dalla finestra aveva intravisto la sua vicina di casa che stava annaffiando
delle piccole piante sul suo davanzale fiorito, e per un attimo l’aveva
invidiata, lei e tutta la calma che riusciva a mostrare. Così aveva aperto il
frigorifero, deciso mentalmente cosa cucinare per quella sera, e alla fine era
tornata a guardare ancora dalla finestra.
Le
veniva da piangere, certe volte, solo ad osservare la vita tranquilla di tutti
coloro su cui le cadevano gli occhi. Dalla stanza al fondo del corridoio la
televisione continuava a trasmettere notizie di cronaca: ne sentiva il
gracchiare sommesso, le pareva già di sapere tutte quelle parole che venivano
usate, le frasi brevi, a volte smozzicate, di quei giornalisti ordinari che
dicevano le cose come andavano dette, assomigliandosi tutti. Infine la sua
vicina di casa aveva richiuso i vetri della finestra, abbassato la tapparella
fino a sfiorare le parti più alte delle sue piante, e a lei era parso bello
quel minimo di rispetto per loro.
Infine
aveva spento la sua sigaretta schiacciandola nel posacenere, e si era
affacciata nuovamente allo studio: lui era immerso ancora nel suo lavoro, le
voltava le spalle, pareva non gli interessasse di niente se non di quello che
stava facendo. Lei si era sentita dispiaciuta di non aver preso con sé un
coltello dal cassetto della cucina: sarebbe stato quello probabilmente il
momento più adatto per vibrargli un fendente in mezzo alle scapole, a lui e al
suo maledetto lavoro. Invece gli chiese sottovoce cosa volesse per cena. Lui
rimase un attimo immobile, poi si voltò lentamente, si alzò dalla sedia, le
andò incontro con pochi passi leggeri. Poi le prese le spalle, l’abbracciò con
dolcezza, forse si rese conto che nulla tra loro stava andando per il verso
giusto, così, invece di rispondere, in un soffio disse soltanto: ti porto fuori
per cena, ti va?
Bruno
Magnolfi
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