La mia
gamba è bloccata da un crampo, uno di quelli che rende le fibre muscolari come
legno di radica, impossibile da sciogliere. Sto immobile nel letto, da solo,
resisto al dolore. Passerà tutto questo, penso, e intanto con i denti serrati
rifletto sul tratto di pavimento che mi separa dal mobiletto del bagno dove
tengo le medicine. Farei qualsiasi cosa per non sentire dolore, dover
sopportare in silenzio mi fa uscire pazzo. Poi tento di alzarmi, appoggio a
terra le gambe, sento con i piedi la superficie fredda del pavimento. Decido
che è inutile e torno a sdraiarmi.
Il
dolore alla gamba si attenua, cerco così di rilassare anche le altre parti del
corpo che fino ad adesso sono state in forte tensione, ma all’improvviso mi
pare che tutto sia ostile. Il dolore va e viene, mi tiene inchiodato con la
mente dentro la gamba, come servisse a qualcosa. Devo farmi aiutare, penso, non
posso star qui all’infinito. Fino a due anni fa Corinna abitava con me, non ero
da solo, se lei adesso fosse stata qui mi avrebbe aiutato. Chissà dove è andata
a finire Corinna, penso, non l’ho più rivista da un sacco di tempo.
Il
dolore adesso si è attenuato, ma la mia gamba è preda di un formicolio
inusuale, e dal ginocchio fino al piede non sento quasi più niente. Mi siedo,
appoggio la gamba sul pavimento, il mio piede non riesce neppure a rendersi
conto del freddo delle piastrelle; con la spinta delle mani e delle braccia mi
alzo, ma la gamba non regge e cado malamente di fianco. Devo arrivare al
telefono, penso, è assolutamente necessario che arrivi fin lì, nell’ingresso
del mio appartamento. Mi muovo, striscio per terra tirandomi in avanti con gli
avambracci, è una faticaccia, ma non c’è altro sistema.
Arrivo
alla porta e mi sento completamente sudato, il crampo riprende, mi contorco per
il dolore. Vorrei che questo giorno non fosse mai giunto, penso, mi sento una
persona finita, uno che non è neppure riuscito a stare assieme a una donna.
Vorrei urlare forte, lamentarmi con tutti coloro capaci di sentire il mio
grido, poi mi torna alla mente Corinna, senza motivo. Non sarò più lo stesso,
penso, ogni volta che interviene qualcosa del genere tutto cambia dentro di
noi. Non resisto, non riesco a sopportare un bel niente, penso, forse è questo
il problema più grande.
Respiro
forte, sento qualcuno passare lungo le scale condominiali, stanno bene, penso,
loro non hanno bisogno di niente. Cerco di muovermi ancora nonostante il
dolore, con fatica arrivo fino al mobiletto con sopra il telefono. Mi tiro su,
prendo il mano la cornetta mentre il dolore si attenua, e rimango lì, senza
sapere a chi chiedere aiuto. Non posso chiamare l’ospedale per una cosa del
genere, mi riderebbero dietro e non si muoverebbero di certo. Aspetto qualche
momento, infine riappoggio la cornetta sopra la base. Mi pare di sentirmi già
meglio, così arrivo nel bagno e cerco un normale analgesico.
Lo
trovo, ingollo una pillola bianca e aspetto. Mi siedo sul bordo della vasca da
bagno e osservo la mia gamba: è gonfia, forse per un bel po’ di tempo non
riuscirò più a camminare correttamente, penso. Immagino che la pastiglia che ho
appena ingollato fosse di Corinna, probabilmente lo era veramente, la sua
validità sarà terminata chissà da quando. Non importa, penso, anzi mi piace
aver preso qualcosa di lei, è come se in qualche modo stessimo ancora insieme.
Sento ancora rumori lungo le scale: forse è Corinna, penso, forse è venuta a
vedere come sto, se ho ancora bisogno di lei. Poi mi lascio cadere di nuovo sul
pavimento: sulle scale è tornato il silenzio.
Bruno
Magnolfi
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