Erano
amici, pensava Enzo, lo dovevano essere per forza, non si torna insieme da
scuola fino a casa quasi ogni giorno se non è così. Abitavano vicini, e certe
volte lui andava da Franco, nel pomeriggio, quando le giornate erano belle e insieme
potevano andarsene in giro: suonava il campanello, attendeva che la mamma gli
chiedesse chi era dal fondo del corridoio. Poi, dopo un leggero confabulare,
arrivava Franco che diceva soltanto: arrivo; e Enzo si piazzava sul marciapiede
ad aspettare. Certe volte aveva aspettato anche parecchio, e questa cosa non
gli piaceva. Un giorno passò Antonio, un amico del babbo, sulla sua bicicletta
scassata, gli sorrise e subito disse: ti hanno lasciato fuori?, e lui si
vergognò un po’ di quella faccenda di star lì per un sacco di tempo, a non far
niente, come se non avesse altri ragazzi da frequentare.
Infine
arrivava, Franco, e spesso tirava fuori delle idee divertenti per combinare
qualcosa, ma altre volte voleva andare a cercare altri ragazzi, e questo a Enzo
piaceva di meno. Era sfuggente Franco, ma questo era solo il suo carattere. Aveva
sempre fretta di arrivare da qualche parte, di trovare altre persone, di vedere
gli altri ragazzi cosa stessero facendo lì nel quartiere. Così Enzo molte volte
si ritrovava a trottargli alle calcagna cercando di parlare di qualcosa. Non
gli piaceva molto parlare a Franco, ma quando Enzo parlava lui stava in
silenzio, come non avesse niente da dire; quando infine diceva la sua nessuno
trovava mai nulla da obiettare, come se quell’opinione fosse proprio l’ultima
parola da dire.
Enzo
avrebbe voluto qualche volta mettersi seduto con Franco su qualche gradino, o
sulla spalletta del fiume, a tirare qualche sasso nell’acqua e a parlare delle
cose che venivano a mente. Ma con lui non era possibile, a parte qualche caso
rarissimo. Capitava spesso che dopo un giro lungo le solite strade di sempre,
Franco dicesse all’improvviso: devo andare, devo tornarmene a casa, e lasciava
Enzo così, senza nessuna spiegazione.
Enzo
qualche volta aveva chiesto a qualcun altro dei suoi compagni che cosa pensasse
di Franco, e in genere tutti parevano piuttosto evasivi, come se fosse un
argomento di nessun interesse. Una volta invece, uno disse che Franco era una
persona assolutamente egoista, sfruttava tutte le situazioni possibili senza
preoccuparsi minimamente degli altri. Aggiunse anche che era il caso di tenersi
distanti da lui, perché aveva sempre dei secondi fini in tutto ciò che faceva.
Enzo non ci credette a quel giudizio pesante, però iniziò ad osservare le cose
con occhi maggiormente disincantati.
Fece
passare un bel po’ di tempo prima di tornare a suonare quel suo campanello, per
esempio, e sulla strada da scuola fino a casa si ritrovava quasi sempre da solo
visto che non si preoccupava più di aspettarlo. Bell’amico sei tu, gli disse un
giorno quando infine si ritrovarono soli: Franco lo squadrò, gli chiese cosa
c’era che non andava, Enzo gli disse che era un sacco di tempo che non uscivano
insieme, e che se non era lui ad andarlo a cercare, il contrario non succedeva
di certo. Franco rimase in silenzio, soprappensiero, e infine gli disse: credi
davvero che sia questa l’amicizia? Io non lo penso, piuttosto credo che ognuno
di noi abbia una strada da percorrere, certe volte è possibile farla insieme
con altri, ma quasi sempre si è soli, ed è inutile lamentarsi di questo: è
così, non saremo certo noi due a cambiare la regola.
Bruno
Magnolfi
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