mercoledì 6 ottobre 2010

Scena n. 6. Conservazione dello stato raggiunto.

            

            L’uomo giunge di corsa nello spazio di luce che i faretti disegnano sul palco. E’ colpa mia, dice subito ad alta voce, come strappando a se stesso una confessione. Muove le mani, gesticola, appare disperato. Dice: non so neanche io come abbia fatto, come sia potuto accadere. Stavo lì, seduto al mio tavolo, e lasciavo che la vita spostasse lentamente i suoi oggetti, guardando i bellissimi colori di cui si vestivano, quelle forme meravigliose che assumono in tantissimi casi.
            Mi godevo l’esistenza, insomma, le mani appoggiate sopra ai braccioli, le gambe distese, in completo riposo. Niente richiedeva qualcosa da me, se non l’osservazione svagata di quel grandissimo caleidoscopio, senza alcuna preoccupazione diversa, senza pensieri, nessun disagio. La mia mente era aperta, eppure qualcosa intervenne a cambiare il mio stato: rimasi abbagliato da un elemento che non conoscevo, a cui prima di allora non avevo mai dato retta: la conservazione di quel mio stare bene, il cercare di rendere inamovibile la mia posizione, ecco quale fu la molla di tutto.
            Immaginai di perdere, per colpa di qualche persona invidiosa, quel mio stato prezioso, e così cercai di prevenire un’eventualità di quel genere. Iniziai a pensare sempre più spesso che ci fosse qualcuno che volesse mettersi alla pari con me, o che addirittura desiderasse insediarsi al mio posto. Mi guardai attorno, iniziai ad essere sospettoso di tutti, continuai cercando nelle parole delle persone quelle sfumature più ambigue, quelle frasi che apparentemente non significavano niente, ma che nascondevano a mio parere precise volontà.
            Lasciai tutto, tolsi le mani da quei soliti braccioli, mossi le gambe, abbandonai la mia posizione che tanto mi era piaciuta, per ritrovarmi solo e noioso, sospettoso, pieno di acredine verso chiunque. Il resto è ben facile immaginarlo: non riuscii in alcun modo a tornare indietro, neppure imponendomelo. Continuai ad isolarmi, a prendermela con chiunque per ogni minima cosa, a non vedere più quel mondo che mi era apparso bellissimo, fino ad arrivare alla sofferenza di oggi, che non so abbandonare, e che mi pervade, qualsiasi cosa io faccia.
            Mia moglie mi guarda la sera tardi, mentre cerco di neutralizzare la concorrenza che ha compreso quale sia il mio punto debole, e forse ha pena di me. Io perseguo ad indagare su qualsiasi elemento mi appaia più strano o più insolito, e insisto ad inseguire i miei demoni, perché so che durante la notte, dentro al mio sonno agitato, loro verranno di propria iniziativa a cercarmi, per rubarmi lo spirito, la calma, il piacere, tutta quanta la mia meravigliosa esistenza.

            Bruno Magnolfi


            

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