Certe
volte mi ritrovavo a camminare quasi in punta di piedi entrando in casa della
signorina Adelaide, dopo che una mano invisibile aveva fatto scattare il
meccanismo di apertura del portone. Percorrevo tutto il lungo corridoio di
marmo lucido, sempre poco illuminato per chi veniva da fuori, con varie porte
chiuse a destra e a sinistra, e arrivavo svelto alla fine, dove si apriva la
grande stanza dove la signorina Adelaide dava lezioni di italiano, di disegno e
di musica. Io restavo sulla soglia ogni volta, attendevo paziente che lei mi
facesse cenno di entrare guardandomi un attimo, ma senza cambiare mai di espressione,
sistemando qualche foglio o concludendo la lezione che precedeva la mia.
Aveva
i capelli nerissimi e lunghi, legati stretti alla nuca in una sottile e lunga
treccina, e quando a volte io arrivavo con cinque minuti di anticipo e mi
trovavo ad ascoltare qualche ultima scala suonata da mano insicura al
pianoforte di legno scuro nell’angolo, con la sua mezza coda, avvertivo con
meraviglia come quegli ultimi accordi ronzanti riempissero mirabilmente tutta
la stanza, quasi che quelle corde percosse dai martelletti felpati non
desiderassero smettere più, persino una volta richiuso lo sportello della
tastiera. In altri casi intravedevo qualche disegno stupendo tracciato a matita
su dei fogli bianchi, di carta ruvida, appoggiato sul cavalletto o sul tavolo,
ed io, che prendevo soltanto lezioni di letteratura italiana, mi chiedevo come
poteva, la signorina Adelaide, spostarsi con grande sicurezza e modestia da un
campo a quell’altro, e racchiudere in sé tutta quella sapienza, quella grande
maestria.
Ci scambiavamo un saluto con coloro che,
terminata la lezione, di qualsiasi materia fosse stata, si apprestavano ad
andarsene via, quasi come una piccola solidarietà tra noi ragazzi che
frequentavamo la casa, al cospetto del fascino che emanava da quella stanza
d’artista. La signorina Adelaide era pronta in un attimo, e in un attimo solo
cambiava materia come scivolandoci sopra, da una disciplina a quell’altra,
spostandosi dal cavalletto alla grande scrivania ingombra di testi, o da questa
alla panca del pianoforte, in quel grande ambiente disadorno di tutto, se non
di quegli strumenti magnifici.
Qualcuno
di noi allievi cercava soltanto di immaginare le cose meravigliose che potevano
uscire da quella stanza quasi irreale, da quelle mani affusolate e fantastiche,
una volta rimaste da sole; si diceva, tra noi ragazzi che frequentavamo la
casa, che la signorina certe sere sciogliesse quella sua treccia, e si mettesse
a suonare al pianoforte della musica lenta, sottotono, magnifica, per
proseguire più tardi con dei ritratti di sogno tracciati sopra la carta con del
semplice carboncino; e infine che avesse riposta dentro al cassetto una
raccolta infinita di poesie scritte da lei, un verso ogni giorno, quando la
notte si portava più avanti.
Si
era sicuri che c’era la mamma dietro ad una di quelle porte sempre ben chiuse:
una vecchia coi capelli bianchi e il passo malfermo, che qualcuno aveva
intravisto certe volte entrando di fretta. Altro non si sapeva, se non che la
signorina Adelaide non si incontrava mai per la strada o in qualche negozio,
come se la sua vita fosse stata tutta là dentro, e da nessun’altra parte. Poi,
un giorno qualsiasi, si seppe che la mamma era morta, così, all’improvviso, e
che la signorina Adelaide non avrebbe più dato lezioni. Restammo male, quasi
tutti, e alcuni di noi continuarono a chiedersi cosa potesse mai farne adesso
di quella stanza stupenda, la stanza del’arte. Infine, una sera, passai da lì quasi
per caso, camminando per strada senza neppure pensare, e appresi da un cartello
in bella evidenza, che la casa era in vendita: è tutto finito, pensai con
tristezza, il sogno della signorina Adelaide probabilmente è svanito, era
inevitabile che dovesse interrompersi; oppure no, riflettei rivedendo davanti a
me in un lampo la stanza dell’arte. Forse lei prosegue ancora con il suo
progetto, va avanti come sempre a mescolare le arti: forse semplicemente si
sposta da qualche altra parte, in un’altra città; ma certo, è proprio così,
continuavo a pensare, perché per essere come la signorina Adelaide c’è bisogno
di cambiare le cose, di respirare aria nuova, ogni tanto, forse di sentirsi
addirittura diversi.
Bruno
Magnolfi
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