C’è
sempre un sacco di gente davanti alla fermata dell’autobus a quest’ora, proprio
quando esco dal mio lavoro. Sembrano tutte persone distanti, quasi diverse da
me; certe volte penso: chissà ognuno di loro cosa fa in tutto il giorno, oppure
quali saranno i suoi pensieri mentre sta qui, sul marciapiede, a riflettere
chissà mai su che cosa? In fondo non ha alcuna importanza, io tengo ben stretta
la mia borsa e penso soltanto ai fatti miei. Guardo l’orologio, tra due minuti
arriverà il diciassette, io salirò, timbrerò il mio biglietto, mi piazzerò come
sempre nell’angolo in fondo, e tempo venti minuti sarò quasi a casa.
Mi
guardo attorno, ci sono sempre un sacco di brutte facce che girano da queste
parti; non che si debba giudicare tutti dall’espressione del viso o da come
sono vestiti, però non mi sento tranquilla a questa fermata, a quest’ora poi,
quando la luce del giorno se ne va, e i lampioni e i fari delle auto mostrano
una realtà più tagliente, più confusa, quasi violenta. Ma io tengo ben stretta
la borsa sotto al mio braccio, non mi può succedere niente. Certe volte
immagino che se per disattenzione cadessi per terra, nessuno mi darebbe una
mano a rialzarmi, e questo mi pare terribile.
Non
riesco proprio a capire come facciano certe ragazze che girano serene in questi
paraggi, magari con le gonne più corte di quanto dovrebbero essere, o le
scollature vistose. A me non importa, mi stringo dentro me stessa e vado
avanti, per la mia strada, qualsiasi cosa succeda. Non guardo nessuno, mi
sistemo dove ritengo di non intralciare il passaggio, e sto lì, aspetto
l’autobus senza che niente mi distolga dalla mia attesa.
In
questo tratto di strada c’è sempre un movimento continuo di macchine, e gruppi
di pedoni traversano da un marciapiede a quell’altro. Spesso qualcuno frena un
po’ bruscamente davanti ad un passante sbadato, oppure ci sono altri che
credono di essere furbi e vanno a tutta velocità da un semaforo a quello
seguente. Mi sembra tutto tremendamente pericoloso, come se davanti a questa
fermata dell’autobus si sfiorasse ad ogni minuto una di quelle tragedie di cui
da tutte le parti si sente parlare.
Dentro
alla tasca tocco con la punta delle dita il biglietto dell’autobus e mi sembra
già di essere via, lontana da qui. Un senso di smog e di polvere rende tutto
sgradevole da queste parti, quasi che niente potesse essere neppure sfiorato,
senza raccogliere da ogni superficie una patina di sporco. Non mi accadrà
niente, ripeto qualche volta tra me, e intanto mi stringo di più tra
l’impermeabile e la borsa che ho sotto al braccio.
Poi
si avvicina qualcuno, un uomo, forse straniero; mi chiede dove andare per
raggiungere una strada che è lì nei paraggi, ed io la conosco, so dov’è, potrei
dargli le spiegazioni che cerca. Lo guardo, ma soltanto un momento, vedo dietro
di lui che sta arrivando il mio autobus, si, è proprio il diciassette, la linea
che porta nei pressi della mia abitazione, così fingo di non capire, di non
sapere niente della strada che cerca, lo scarto, con il semplice gesto del
braccio, e infine salgo sul mezzo pubblico insieme a tanta altra gente, e
timbro finalmente il biglietto.
Non
mi interessa un bel niente dei problemi degli altri, penso, devo stare ben
attenta che a me non succeda qualcosa, qualcosa di cui magari in seguito
ritrovarmi assolutamente pentita, di cui rammaricarmi per chissà quanto tempo,
come una sciocca; proprio perché ci vuole un attimo, una sciocchezza, per
rimanere in balia di un evento a cui non si era pensato, una svista da niente,
un incontro casuale, che spesso si presenta così, con la faccia di una persona
qualsiasi, e non ti porta proprio niente di buono.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento