Come ogni
giorno lei era tornata a casa, dopo il lavoro. Un’ora più tardi aveva
appuntamento in palestra, come tutte le sere, ma pensò che non aveva alcuna
voglia di andarci, di fare i soliti esercizi, di scambiare le solite battute
con le ragazze che conosceva. Così si era seduta sulla sua poltrona preferita
cercando dentro di sé di comprendere l’origine di quella sua strana e repentina
apatia.
I
suoi anni stavano scorrendo senza inciampi, quasi senza dolore, e lei non amava
fare bilanci, però se proprio doveva riflettere su quei suoi ultimi anni
avrebbe detto che le parevano insulsi, senza alcuna caratteristica. Era
difficile provare un senso vero di noia, c’erano le amiche, il lavoro che le
piaceva, i fine settimana da trascorrere sempre da qualche parte, a scoprire
qualcosa di nuovo, eppure in certe giornate tutto le appariva come una grande
stupidaggine.
Poi
le era presa la voglia di mangiarsi della frutta mentre accendeva la
televisione tanto per curiosare sui programmi che passavano a quell’ora, e così
aveva aperto il frigorifero, tirando fuori una mela bella lucida e succosa,
proprio come piacevano a lei. Aveva preso un coltello dal cassetto, uno di
quelli ordinari, da tavola, giusto per sbucciare quella frutta, ma quasi senza
rendersene conto si era subito fatta male ad un dito, forse per distrazione,
forse per quella svogliatezza da cui si sentiva attraversata ultimamente in
ogni cosa che faceva.
Qualche
goccia di sangue era caduta sul piano della cucina, lei aveva guardato quelle
piccole macchie con sorpresa, quasi con curiosità. Si era sentita come
immobilizzata a quella vista, la mela lucida da una parte, la sua mano mezza
insanguinata dall’altra. Così aveva fatto qualcosa quasi per un gusto che
neppure conosceva: si era provocata un altro piccolo taglio nella mano, con
intenzione, giusto per vedere ancora il rosso del suo sangue. E dopo un altro
ancora, quasi per ridere, senza badare troppo a ciò che le stava succedendo,
solo per vedere quel colore che si spandeva sopra al piano della sua cucina.
Infine si era
inferto un colpo netto di taglio sopra al polso, proprio lì, dove le vene e le
arterie sono più evidenti, ma non per farsi male, quanto per capire fin dove
poteva misurare la sua voglia di diversità, di elementi nuovi nella sua serata,
dentro la sua vita. Si era toccata il viso, le braccia, tutto il vestito,
imbrattandosi orribilmente di quel sangue che continuava ad uscirle dalle sue
ferite, di quel suo elemento interno che pareva bramare per mettersi in mostra,
per farsi vedere, fino a sentirsi a un certo punto sola, debole, scoraggiata
anche in quella voglia assurda.
Allora aveva
cominciato a urlare, ma solo per un po’, quasi per se stessa più che per gli
altri, fino a riflettere che era sola in casa, e che probabilmente i suoi
vicini non l’avrebbero sentita. Pianse allora, all’improvviso, di qualcosa che
non riusciva neppure a capire cosa fosse, ma quando si trascinò fino nel bagno
per vomitare dentro al lavandino, scoprì nello specchio quanto profonde fossero
quelle ferite, e fu in quel momento che ebbe paura anche di se stessa. Si
affacciò alla finestra per prendere un po’ d’aria, ed osservò per un attimo la
strada sempre identica sotto casa sua; infine decise che era meglio telefonare
in ospedale.
Bruno Magnolfi
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