Sto bene
in questi ultimi tempi. Al medico ho detto che mi sento in grado di riprendere
con il mio lavoro, la depressione ormai è alle spalle, soltanto una brutta fase
della mia vita. Adesso frequentemente indosso una giacca, una bella giacca che
ho comperato per caso, dopo averla vista in una vetrina mentre passavo davanti
al negozio. E’ di colore rosso, un rosso un po’ scuro, per niente vistoso: i
miei parenti vengono spesso a trovarmi e tutti mi fanno i complimenti per
quella mia giacca. Ne sono fiero, dico la verità, indosso quella e mi sento
subito meglio, giro per le strade con più sicurezza, maggiore indipendenza di
prima. Certe volte la tengo sopra le spalle anche quando resto in casa. Non lo
so, non so spiegarmi perché, ma so che è così, lo sento, per questo forse
vorrei tornare al lavoro, per farmi vedere guarito da tutti i colleghi e con
indosso la giacca.
Oggi sono
uscito di casa, non mi piace più stare lì fermo seduto a guardare il solito
muro. Ho girato un po’ avanti e indietro nel mio quartiere, poi sono entrato
dentro al caffè dove andavo fino a qualche anno fa. Un uomo mi ha riconosciuto
e mi ha fatto un saluto, ma io non mi ricordavo per nulla di lui, così ho fatto
finta di niente. Bella la tua giacca, dice quello, forse già mezzo sbronzo.
Già, faccio io. Devi averla comperata da poco, fa lui, un nuovo modello, roba
fine, che non si vede tanto spesso qua in giro. Annuisco, intanto metto i
bottoni dentro alle asole tanto per fargli vedere come mi calza, ma quello
butta giù un bicchierino e poi fa: potresti venderla a me, dice di un fiato,
più o meno siamo uguali di taglia, sono sicuro che con una giacca così mi
sentirei un’altra persona.
Lo guardo
come se non avesse detto un bel niente, cerco qualcosa dentro alle tasche con
modi nervosi; quest’uomo mi sta facendo arrabbiare, penso tra me, dice soltanto
delle sciocchezze, la giacca è la mia, non c’è alcun motivo per cui dovrei
toglierla. Ma quello insiste, dice: dai, fammela provare, non ci vuole niente,
fa lui, così vediamo a chi calza meglio. Io non me lo filo neanche, e assesto
un pugno sopra al bancone, tanto per fargli vedere di cosa sono capace.
Ma quello
cambia sistema, diventa più appiccicoso, adesso dice che non gli importa più
niente della mia giacca, che diceva tanto per dire, e che anzi, è proprio di un
colore impossibile, lui non la indosserebbe per nessuna ragione, se non per
fare un piacere a un amico. Mi volto, nel locale non c’è nessuno, il barista fa
le sue cose, mi sento di non sopportare ancora quell’uomo. Così dico a voce
sempre più alta: basta, lei non deve dire più niente, né sulla giacca, né su
altre cose, così quello si fa servire un altro bicchierino e lo offre anche a
me, tanto per fare la pace. Io dico che mi fa male, ma quello insiste, infine
mi porge il suo, e forse senza intenzione mi versa il liquore sopra la giacca.
Sul
momento non dico niente, ma la macchia è proprio davanti ed è appiccicosa.
Quello si scusa, dice qualcosa con la sua voce per me insopportabile, io resto
fermo, senza niente da dire, il barista mi fa: forse è meglio se adesso vai a
casa. Io mi sento sempre più male, ognuno mi dice cosa è meglio e cosa è peggio
per me, intanto la mia giacca ormai è rovinata, non potrò più indossarla, è un
grosso guaio, penso, un guaio senza rimedio.Vorrei gettarmi addosso a
quell’uomo, riempirlo di botte, ma mi sento sempre più debole, sono sicuro che
non riuscirò neppure ad arrivare fino a casa. Barcollo fino all’uscita del
caffè senza dire niente a nessuno, poi cado lungo disteso sopra al marciapiede
di fronte: voglio morire qui, penso, non mi importa più niente se i miei
colleghi di lavoro non riusciranno a vedere la mia giacca, incaricherò qualcuno
per andare a spiegarglielo che mi stava bene, che era tagliata proprio su
misura per me, che era una giacca davvero speciale.
Bruno
Magnolfi
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