Adesso
stiamo tutti in silenzio mentre il motore della macchina di papà sembra il lamento
monotono di un animale domato. Guardo dal finestrino le case, la campagna, gli
alberi, mentre fuori continua a piovere e le gocce d’acqua scivolano giù lungo
il vetro, a pochi centimetri dal mio naso. Io e mia sorella come sempre stiamo
sistemate sui sedili di dietro, i nostri genitori davanti. Ci siamo divertite
un sacco a prendere in giro papà che non riusciva a vedere la segnaletica
giusta lungo la strada, anche perché lui
con noi è costantemente in minoranza. Ma dopo un po’ la mamma ci ha detto: via
bambine, ora basta, lasciate guidare papà in santa pace, e io e mia sorella ci
siamo raggomitolate qua dietro, ognuna per conto suo, dando corso ai nostri
pensieri.
Non
so neppure verso dove stiamo andando, e neppure perché, in fondo che importa, a
me piace star qui a sonnecchiare, a lasciare che tutto scivoli intorno, come
questo paesaggio troppo veloce per poter essere racchiuso dentro a un pensiero,
troppo rapido per definire un’immagine che possa restare dentro la mente. Così
tutto corre, e per me è come se questa giornata fosse infinita, e questa
automobile riuscisse ad attraversare tutto il possibile, senza tornare mai
indietro, lasciando alle spalle la scuola, i giocattoli, la cameretta che
divido con mia sorella, tutti i pianti e gli scherzi in cui abbiamo ecceduto in
questi ultimi tempi.
Papà
dice qualcosa alla mamma, io non ascolto, mi lascio cullare dalla presenza
rassicurante dei miei genitori, e questo mi basta. Adesso piove di meno, ma le
ruote ogni tanto fanno schizzare l’acqua da dentro le pozze. Non so cosa sia
voler bene, so che vorrei tanto che questo viaggio non avesse uno scopo, che
non ci fosse niente che definisse il bisogno di aver affrontato questa giornata
piovosa, vorrei che mio padre dicesse che stiamo facendo soltanto una gita, un
giro qualsiasi per vedere se in un’altra città riesce a piovere alla stessa
maniera come in quella dove abitiamo.
Forse
i miei genitori hanno accennato qualcosa di questa giornata, forse ci hanno
spiegato, a me e a mia sorella, il motivo per cui oggi non c’è stato bisogno di
andarcene a scuola. Magari è qualcosa di particolarmente importante, ma io non
ho ascoltato le loro parole, mi sono rifugiata nel gusto di questo viaggio,
senza preoccuparmi di altro. Penso tra me che forse ho sbagliato, avrei dovuto
stare più attenta a quanto dicevano, ma in fondo che importa, rifletto, a me
basta star qui, aver piena fiducia nel loro essere perfettamente consapevoli di
cosa sia meglio per noi.
L’auto
va avanti, adesso è smesso di piovere, mia sorella mi ha dato una spinta col
piede, forse solo per stuzzicarmi, ma io l’ho ignorata, ho voglia solo di
starmene qui, per conto mio, in mezzo ai pensieri. Forse lei ha capito dove si
va, e questo un po’ mi dispiace, però poi rifletto che non è niente di
particolarmente importante, che lei ne sappia un po’ più di me non cambia
assolutamente le cose. Infine la nostra automobile rallenta, entra dentro un
enorme parcheggio, riconosco i simboli di un ospedale, guardo mia sorella con
un’espressione interrogativa.
Andiamo
a trovare lo zio ammalato, dice lei sottovoce, coprendo perfettamente in un
attimo ogni vuoto che all’improvviso mi si era aperto dentro la testa. Giusto,
penso tra me, la nostra famiglia è più larga di noi quattro che stiamo qua
dentro, dobbiamo avere un pensiero per tutti, anche per chi vediamo di rado, portare
il conforto a chi non può muoversi. Infine la macchina è ferma, gli sportelli
si aprono, mi sento restia a scendere da qui, ma poi esco fuori, guardo il
grande edificio di fronte e tiro un respiro nell’aria lavata; adesso credo di
sapere cosa sia voler bene: guardo i miei genitori e so che stiamo portando un
sorriso allo zio, forse perché è proprio di questo che lui ha un gran bisogno.
Bruno
Magnolfi
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