giovedì 25 novembre 2010

Le speranze di sempre.

            

            Il gruppo dei ragazzi si era sistemato in un angolo della piazzetta, alcuni rimanevano seduti sopra i gradini davanti alla chiesa, altri erano in piedi, lì accanto. Parlavano con calma delle loro cose, scherzavano, ma pacatamente, senza urlare, mentre l’ora pomeridiana era quella in cui la luce del giorno inizia lentamente a svanire, anche se ancora i lampioni non erano accesi e non se ne sentiva per niente la necessità. Un uomo, giaccone scuro, mani sprofondate dentro le tasche, restava fermo poco distante: pareva incuriosito di qualcosa, così rimaneva immobile, come se tutti i suoi pensieri si esaurissero lì, in quel suo sguardo innocuo, ininfluente, quasi senza significato.
            L’uomo, senza allontanare gli occhi dal gruppo, si era poi avvicinato, non molto, ma in modo appena sufficiente per farsi ascoltare senza bisogno di alzare la voce: dovete smetterla, aveva detto, con tono convinto e deciso. I ragazzi avevano capito subito che quell’uomo stava riferendosi proprio a loro, o magari forse solo a qualcuno tra quei sei o sette che erano, così si erano voltati tutti verso di lui, avevano avuto un attimo di perplessità, poi uno aveva risposto qualcosa di spiritoso, ma sottovoce, e tutti avevano riso, disinteressandosi della faccenda.
            Allora l’uomo si era avvicinato di un altro passo, forse due, poi aveva ripreso: non avete forse capito che in questo modo non si andrà da alcuna parte? Poi aveva dato uno sguardo verso la piazza, come se si aspettasse che altri, forse alcuni che immaginava potessero pensare le sue stesse cose, arrivassero a dargli sostegno, ma notato che al contrario i passanti restavano indifferenti, preoccupati soltanto di se stessi, ritornò immediatamente a strizzare gli occhi verso i ragazzi, in attesa di una presa di posizione o di una risposta da parte loro.
            Scusi, disse uno di quelli che rimanevano in piedi, ma a che cosa di preciso si riferisce? Ci sembra di non dare fastidio a nessuno, di aver scelto un angolo di un luogo pubblico per parlare delle nostre cose, per scambiarci le nostre opinioni, nient’altro. L’uomo sorrise, tolse una mano da dentro la tasca, si voltò su di un lato osservando la facciata dell’antico palazzo che si apriva di fronte, poi parve disinteressarsi di tutto.
            I ragazzi avevano intanto cercato di interpretare quelle parole, ma non erano riusciti a comprendere a che cosa potessero riferirsi, così quello che aveva parlato con l’uomo, si staccò dal resto del gruppo, come a dimostrare di non essere intimidito, si avvicinò di tre o quattro passi, poi disse: forse, qualcosa del nostro ottimismo, della nostra gioventù, della nostra voglia di vivere, la fa sentire a disagio? Il resto dei ragazzi si era girato in maniera decisa verso le spalle del loro rappresentante, e ognuno di loro seguiva con curiosità e attenzione qualsiasi sviluppo della questione.
            L’uomo era tornato a voltarsi verso di loro, aveva estratto ambedue le mani da dentro le tasche, infine, sollevando le braccia in un gesto da grande conferenziere, aveva cercato di dire qualcosa, ma come restando senza le parole che forse servivano. Infine gli era come preso un debole moto di prostrazione, aveva scosso la testa, spostato lo sguardo verso il lastricato di pietra, e tutto questo solo per dire, alla fine: siete la nostra speranza; e nient’altro.
            I ragazzi lentamente si erano avvicinati, ricompattando il loro gruppo, fermandosi ad un passo appena dall’uomo, in silenzio, come se nessuno trovasse qualcosa da aggiungere, ma ugualmente interrogandosi, ognuno dentro se stesso, su ciò che era possibile dire; ma nonostante ogni impegno, pur dispiacendosi, non riuscirono più a scambiare alcuna parola, così le mani di tutti tornarono a sprofondarsi dentro le tasche, le persone attorno continuarono a camminare avanti e indietro, quasi senza ragione, e l’immobilismo riprese pienamente il dominio di tutta la piazza, inevitabilmente.


            Bruno Magnolfi

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