lunedì 8 novembre 2010

Legato ad uno sguardo.

            

            Quasi ogni giorno vengo qui, da ormai un po’ di tempo, come per dar seguito a un appuntamento preciso, sempre alla medesima ora, al pomeriggio; scelgo un tavolino del bar tra quelli vicini alle vetrate lungo la strada, all'incirca sempre lo stesso, e mi siedo, come ad attendere qualcosa. Dal cameriere mi lascio servire un caffè, certe volte sfoglio un giornale, in altri casi mi limito ad osservare fuori la vita che scorre lungo la via. Non è solo un’abitudine quella che ormai ho adottato: attendo una persona che neppure conosco, una donna che ho visto soltanto una volta proprio in questo locale, e dentro di me sono certo che lei, prima o poi, dovrà ripassare da qui.
            Quella volta ero entrato quasi per caso, insieme ad un amico, non ci eravamo neanche seduti, avevamo preso un cognac al bancone mentre continuavamo a scherzare. Lei al contrario era ad un tavolino, insieme ad un uomo, lui parlava sottovoce, lei seguiva le sue parole guardandosi attorno. L’argomento forse era serio, lei aveva l’espressione tirata, i suoi occhi parevano cercare un rifugio. Infine ci guardammo, giusto un momento, e lei forse trovò dentro di sé il coraggio che le serviva per replicare qualcosa a quel suo compagno. Lui alzò leggermente la voce, disse ancora qualche parola, infine si alzò, dette dei soldi al cameriere, ed uscì dal locale.
            Non so dove trovai quel coraggio, feci passare soltanto un momento, poi mi accostai al suo tavolo, mi inchinai verso di lei, che era rimasta immobile, e dissi soltanto: posso esserle d’aiuto? Lei mi guardò, esattamente come aveva fatto poco prima, ma non disse niente, prese soltanto un sorso dalla tazza di the che aveva di fronte, poi sussurrò: grazie. Il mio amico aveva visto tutto quanto, ed era uscito per non essermi in qualche modo d’impaccio, io avevo scostato la sedia, lentamente, e mi ero seduto. Avevamo continuato a guardarci, io e quella donna, senza rivolgerci alcuna parola, come se un misterioso magnetismo si fosse azionato tra noi; infine lei si era alzata, aveva fatto cenno a me di rimanere seduto con un leggero, delicatissimo sorriso, e in questo modo era scivolata via, quasi come da un sogno.
            Avevo atteso un attimo, giusto qualche secondo, poi mi ero sollevato anch’io dalla sedia, ero uscito, ma lei ormai era già salita sulla sua auto e stava sparendo lungo la strada. Disse il mio amico, rimasto lì fuori ad attendermi, che forse stava piangendo mentre raggiungeva la macchina parcheggiata, ma aggiunse che si sarebbe anche potuto sbagliare. Ripensando a quella donna nei giorni seguenti mi era sembrato quasi di averla conosciuta da sempre, come se quello sguardo, quell’espressione, fossero rimasti dentro di me trovando delle radici tra le mie cose, quasi che la mia vita avesse scoperto improvvisamente un suo scopo di cui neppure io sapevo in precedenza di avere bisogno.   
            Così iniziai a cercarla da qualsiasi parte della città, ma senza alcun risultato, e alla fine decisi che forse l’unico modo per ritrovarla davvero era quello di tornare proprio qui, in questo stesso locale, ed attenderla, con tutta la pazienza che potesse servire. Ormai non importa quanto tempo ancora ci vorrà, tornerò qui ogni volta con la stessa speranza, e non mi interessa neanche sapere se sarà domani o un giorno qualsiasi il momento in cui la potrò rivedere davvero. So che è mio dovere sperarlo, ma anche così, indipendentemente da tutto, mi sento riconoscente verso quella donna, perché so che con niente è riuscita a cambiarmi la vita.


            Bruno Magnolfi 

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