Vorrei
tanto non essere mai nata in questo vicolo, in questo posto da derelitti, dove
si respira soltanto aria umida, con la vita che va avanti tra le grida che
arrivano dalle finestre delle case scalcinate di fronte, e le parole che
nessuno vorrebbe mai sentir dire, giù nella strada, quando i soliti
scansafatiche si scambiano insulti o anche peggio, magari per niente, a volte
solo per qualche sciocchezza. Io mi affaccio, guardo giù nella strada sempre
identica, e mi pare impossibile come si possa vivere qui, e si continui a
credere che le cose in questo modo possano essere ancora accettabili.
Certe
volte prendo la mia borsetta ed esco da questo quartiere, me ne vado in giro, a
vedere gli altri posti della città, quelli più signorili, e qualche volta
faccio delle compere, acquisto per me una camicetta o una gonna, e torno a casa
con la sensazione che le cose possano andare in maniera diversa da quella a cui
tutti qui siamo ormai abituati. Certe mattine c’è il sole, io guardo quello
spicchio di cielo che riesco a vedere dalla finestra, e mi sembra che tutto
possa cambiare, basterebbe poco, mi illudo, un minimo di buona volontà.
Mio
fratello, prima di andarsene definitivamente da casa, disse che se fossi stata
soltanto un po’ più passabile avrei almeno potuto battere il marciapiede; così
disse, e poi aggiunse che nel modo com’ero combinata, invece, non c’era proprio
niente da fare. Hai ragione, pensai io in quel momento, da me non si riesce
proprio a tirar fuori niente di buono, se non questo star qui a piangere, a
guardare dalla finestra il vicolo maledetto, che mi lascerà portare via solo da
morta, senza che neppure i vicini di casa quel giorno riescano a dare troppa
importanza al mio funerale.
Guardo
la strada, certe sere, e non riesco a vedere nient’altro che persone senza
futuro, che vagano in mezzo alle case muffite fingendo di essere vivi, forse
immedesimandosi in qualcun altro che apparentemente sembra solo più fortunato,
ma proprio per questo quasi migliore di loro. Io li guardo, dalla finestra, e
mi pare che niente potrà mai cambiarli: urlano, si dicono dietro delle cose del
tutto irripetibili, credono di essere furbi, soltanto perché qualcuno concede
loro un po’ di importanza, un elemento che in questo quartiere viene subito
chiamato rispetto, e con questo procedono avanti, fingendo di non aver bisogno
di altro, e di essere superiori alla media.
Io
accudisco mia mamma, tiriamo avanti con i soldi della sua pensione, lei non si
interessa quasi di nulla, non scende neanche più fino alla strada, guarda la
televisione e questo le basta. Io spesso mi stringo nella mia cameretta, so che
non ci sarà alcun futuro per me, eppure, quando posso, apro la mia finestra e
guardo fuori, quel piccolo stupido mondo che posso vedere da qui. A volte
fantastico, mi immagino che le cose possano andare in altra maniera, mi stringo
nei miei scialletti sopra le spalle, e osservo la forma che ha assunto
l’intonaco umido sulla facciata della casa di fronte. Poi rientro e chiudo la
finestra accostandoci sopra le tendine fiorite.
Preparo
qualcosa da mangiare, scambio giusto due parole con la mamma, ogni tanto, poi
la lascio lì, davanti alla sua televisione, a dormire e a sprofondare nella sua
poltroncina. Io torno a guardare fuori, appena posso. Stasera ci sono le
stelle, riesco a vederne qualcuna nello spicchio di cielo qua sopra, poi guardo
di nuovo la macchia d’umido sulla facciata di fronte: col buio ha assunto una
forma ancora diversa, mi sembra bellissima, non saprei spiegare perché.
Qualcuno parla a voce alta nel vicolo, come se stesse dentro a un deserto;
altri rispondono, poi ridono, tutti in maniera sguaiata. Lo so che cadrà prima
o poi quell’intonaco umido, quello sotto alla macchia che continua ogni giorno a
farsi più larga. So che cadrà tutto insieme, e spero tanto che lo faccia proprio
quando quelle persone sono lì sotto ad urlare, a ridere forte, a rendere la
vita impossibile a tutti noi che vorremmo un’esistenza diversa, che cerchiamo
una speranza qualsiasi, qualcosa che valga la pena di campare così, una vita
che sia almeno priva di quelle loro risate.
Bruno
Magnolfi
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