La casa era
silenziosa a quell’ora, la lampada bassa diffondeva nella stanza una luce
calda, lei stava seduta sulla sua poltrona preferita, e scorreva le parole
delle pagine di un libro, un romanzo che aveva già letto molti anni prima. Le
piaceva rivedere le cose che le erano piaciute durante la sua gioventù, era un
po’ come ritrovare anche qualcosa di sé, di quelle passate emozioni, di quegli
stupori che spesso aveva provato nella scoperta del mondo.
Le
capitava spesso di ripensare qualcosa dei tempi passati, a volte anche senza
volerlo, come se i suoi ricordi affiorassero alla mente da soli, composti da
una propria vitalità, ma ogni volta lei si mostrava pronta a scacciarli, in dei
casi con un gesto, oppure con un sorriso, o con un repentino ritorno al
presente, quasi che il tempo dedicato a quei sentimentalismi si dimostrasse a
lungo un comportamento deteriore, e comunque una sciocchezza poco importante.
Loro tornavano, lo sapeva benissimo, lievemente, poco alla volta, senza
ingombrare, e lei lasciava che si affollassero attorno alla sua poltrona per la
lettura, per poi riprendere di nuovo ad allontanarli da sé, come un piccolo
gruppo di animaletti curiosi.
Non
si era sentita mai troppo vecchia, lei, che ancora andava a spasso con le sue
amiche, sapeva adeguatamente truccarsi gli occhi, e spesso in giro riusciva a
dar mostra di sé, con la sua personalità non da tutti e i suoi capelli curati,
anche se quella solitudine che spesso provava certe volte indubbiamente la
faceva soffrire. I libri la portavano via, ma lei voleva restare con i piedi
ben piantati per terra, essere cosciente di tutto ciò che avveniva, informarsi,
stare aggiornata sulla realtà ed i suoi cambiamenti continui.
La
sua piccola casa certe volte le pareva perfetta per le sue esigenze: ogni
angolo aveva uno scopo e da ogni parte lei si sentiva a proprio agio, come se
tutto fosse disegnato per ogni sua piccola necessità. Ma più di ogni altro, era
il posto dove teneva i piccoli vasi con le violette ciò che le dava una
soddisfazione particolare. Aveva trovato il sistema per riprodurle, quelle
piantine, partendo ogni volta da una semplice foglia, e ciascuna di loro,
quando nasceva sopra a quel tavolo su cui le curava, accanto ad una finestra,
mostrava, dopo aver messo le minute radici, una fioritura di colori sempre
diversi. Non chiedevano molto, le sue violette, solo un poco di cure e di
attenzioni, il resto lo facevano da sé, in bella mostra sopra la mensola, con
delle fioriture meravigliose.
Le
guardava, le toccava, ed era come se loro sapessero che lei era lì, ad
osservarle con attenzione, pronta con orgoglio a mostrarle ogni volta che
qualcuno andava da lei a farle visita. Prima di uscire di casa passava ancora
da loro, come ad assicurarsi che tutto fosse a posto, poi si fermava davanti al
grande specchio del corridoio, e dava un ultimo sguardo al suo viso, ai suoi
capelli, come a raccogliere con un gesto il meglio di sé, e affrontare ogni
aspetto che fuori l’attendeva.
Ma
quel giorno non si era sistemata per uscire, non aveva guardato le sue piante,
era rimasta seduta a leggere il libro, quel romanzo della sua gioventù, e
quando si era alzata, forse in modo repentino, dalla sua poltrona, era andata, chissà
come, a cadere come una sciocca, quasi senza rendersene conto. Il dolore
fortissimo a una gamba le aveva reso evidente in un attimo la gravità di ogni
cosa, e lei, impossibilitata a muoversi, era rimasta lì, semisvenuta, incapace
di chiedere aiuto.
Il
silenzio della casa non le dava sollievo, i suoi pensieri adesso correvano
veloci, si soffermavano su tutto ciò che avrebbe potuto portale un aiuto, ma
restarsene ferma là a terra era qualcosa che non aveva mai preso in
considerazione, e il telefono era lontano, proprio all’ingresso, sotto allo specchio.
L’avrebbero trovata lì, priva di vita, pensò in un attimo, fra tre o quattro
giorni, o anche di più, ma in fondo tutto questo era un aspetto che riusciva
persino ad accettare.
Ma poi le erano
venute a mente le sue violette: non poteva lasciarle, avevano bisogno di lei,
sarebbero seccate senza la sua mano esperta: quell’esperienza che aveva
maturato con loro non poteva averla nessuno come lei, ne era sicura. No, non
poteva lasciarle, sarebbero rimaste lì ad appassire, giorno dopo giorno,
ignorate da tutti, e questo non lo meritavano. Si fece coraggio, pensando
queste povere cose, si trascinò alla meglio lungo quel pavimento, e alla fine
raggiunse il telefono. Non mi importa niente di me stessa, aveva detto alla sua
amica che fortunatamente abitava vicino, spiegandole tutto ciò che era
successo, ma devo pensare a queste violette, sono anche loro che hanno bisogno
di cure, hanno bisogno di me, ed io non posso permettere che quei fiori meravigliosi
appassiscano.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento