lunedì 1 novembre 2010

Non posso più in questo modo.

            

            Non c’è mai niente in questa casa di ciò che uno cerca, niente di niente. Sembra impossibile, se ti serve e ricordi che avevi, che so, un pezzo di spago avanzato da chissà quale altro lavoretto, stai certo che quello non salterà mai più fuori, a meno che non ti serva proprio a un bel niente, ed allora te lo ritroverai sicuramente ingarbugliato in mezzo a mille altre cose, oppure dentro a una tasca di una giacca che non indossi da tempo. Bisognerebbe non preoccuparsi di niente, questa è la verità più profonda; lasciare correre tutto per proprio conto, abbracciando l’indifferenza come se fosse il tuo unico credo, mettendoti da una parte seduto, e nient’altro.
            Certe volte vado a farmi una birra nel locale che c’è qua vicino; mi piazzo lì, bello seduto, e dico soltanto a me stesso: questi dieci minuti sono per te, per sorseggiare la tua birra fresca e dimenticarti di tutti i tuoi guai. Invece non passa neppure un minuto ed ecco che arriva Lora a cercarmi. Ha un sesto senso, penso, altrimenti è del tutto impossibile. Viene lì, mi dice qualcosa, ed io sento che tutto mi sta già sfuggendo di mano. Mi dice solo qualche sciocchezza e le cose vanno subito a complicarsi. Per esempio resiste in lei la maledetta mania di fare domande, e così ecco che me ne arrivano subito diverse alle quali non vorrei neanche rispondere, ma poi dico qualcosa, giusto per tener buona Lora, e da lì inizia subito una discussione infinita, che non porterà a niente di buono, lo so già in partenza.
            Non finisco neppure la birra, mi alzo da lì, pago ed esco da quel locale, con Lora alle spalle, naturalmente. Lei continua a parlare, a dire che sono soltanto il solito di cui non ci si può minimamente fidare, e aggiunge con naturalezza altre cose del genere. Infine mi segue fino a casa, io la lascio entrare e intanto vado in cucina a cercare di preoccuparmi di qualcosa che possa assomigliare a una cena. Lora si toglie la giacca, legge immediatamente ogni mio pensiero e mi propone qualcosa che potrebbe far lei. Non c’è problema, dico io, se ti va, fai pure ciò che ti senti. Ed ecco che lei inizia a tirar fuori delle cose dal frigo, a tagliare e preparare, a sistemare delle padelle sopra ai fornelli.
            Avevo un’idea completamente diversa per questa serata, penso io, ma adesso c’è Lora e così tutto andrà in altro modo. Va bene, le dico, sei carina a preoccuparti per me, anche se non lo penso per niente. Poi si apparecchia la tavola e alla fine ci sediamo per mangiare le cose che ha preparato. Lei mi guarda e mi dice che così non va bene, mi sto proprio lasciando andare sempre di più, mi fa, e così mi ritroverò sempre peggio. Devi reagire, insiste. Io mangio guardando nel piatto, sono stufo di tutto, penso, ma non ho altra scelta: devo andare avanti a cercare di essere così come sono, non posso cambiare i miei modi solo perché lei sta qui e insiste nel dirmi quelle sue solite cose. Ma questo discorso con lei non funziona, così rimango in silenzio e annuisco.
            Finiamo di mangiare immersi in questi argomenti, ed io per cambiare registro le chiedo se le va di uscire con me, di farci un bel giro senza problemi, ma intanto penso che avrei avuto voglia di starmene in casa da solo a mettere in fila qualcosa, forse anche un po’ di questa mia vita. Lei dice subito: va bene; così io prendo una vecchia giacca dentro l’armadio, e mentre la indosso sento che in tasca c’è rimasto qualcosa. Tiro fuori quanto sento nella mia mano e vedo che è solo un pezzo di spago rimasto lì da chissà quanto tempo. Lora mi guarda, vede che sul mio viso più che sorpresa si è dipinta la faccia della rassegnazione, così dice: lo vedi che non puoi proprio andare avanti così?


            Bruno Magnolfi 

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