C’è
un vecchio che vedo ogni giorno; lui, subito dopo l’ora di pranzo, si piazza
con la sedia davanti al suo uscio di casa, e sta lì, sfoglia qualche rivista
illustrata o legge qualche pagina di un libro, godendosi l’aria aperta ed il
sole. Io gli passo davanti, lo guardo, mi sembra un vecchio noioso, pieno di
ugge e abitudini, e forse vorrei anche dirglielo quel che penso di lui e di
quel suo modo di gettare via il tempo, ma poi immagino che ne avrei dispiacere
e così resto in silenzio e vado avanti per la mia strada.
Credo
che lui mi riconosca subito quando passo da lì: non mi guarda, evita di fare anche
una minima mossa che possa dimostrare che mi ha notato, continua a leggere le
sue cose o a guardare nel vuoto, senza distogliersi, come se non ci fosse
nessuno lungo quel marciapiede. A me non interessa affatto che lui mi saluti o
che mi sorrida, non voglio avere niente a che fare con quel vecchio
rincretinito, mi basterebbe non doverlo sopportare ogni volta che passo da lì,
saperlo su quella sedia, a godersi quell’aria e quel sole come se fossero
soltanto di sua proprietà.
Sicuramente
lui pensa qualcosa di me, uno di questi giorni sono sicuro tirerà su la sua
faccia grinzosa e mi dirà qualche cosa, ne sono certo, sfodererà un saluto
strascicato o un apprezzamento sulla bella stagione, chissà. Lo lascerò dire,
non risponderò niente, mi limiterò a camminare lungo quel marciapiede, come se
non ci fosse nessuno ad ingombrare il passaggio con quella maledettissima
sedia. Certe volte penso che dovrei prenderlo per le spalle e tirarlo per
terra, rovesciando lui e la sua sedia, mi prendono i brividi se solo ci penso,
ma poi lascio correre, in fondo non voglio assolutamente toccarlo, e neppure
guardarlo, vorrei soltanto che sparisse da lì, nient’altro.
Poi,
un giorno, passo dal solito marciapiede e il vecchio non c’è. Non penso niente,
non voglio pensare nessuna cosa, continuo a camminare per la mia strada e
guardo davanti ai miei piedi, senza interessarmi di nulla. Passano i giorni e
non cambia niente, lui non c’è, e non c’è neppure la sua sedia stramaledetta.
Così, dopo un po’, getto uno sguardo dentro alla porta di casa rimasta
socchiusa, vedo nel buio che qualcosa si muove leggermente, così spingo l’uscio
con delicatezza per vedere un po’ meglio. E’ lì il vecchio, con la sua sedia e
una coperta avvolta intorno alle spalle, e legge qualcosa alla luce di una
lampadina debole e gialla.
Non
dico niente, vado via, lui mi ha notato, forse pensa qualcosa di me. Non mi
interessa, credo che quel vecchio debba fare tutto quello che vuole, non ha
certo bisogno di rendere conto a me dei suoi pomeriggi. Anzi, adesso sono
sicuro che insisterà nella sua posizione: resterà in casa sua con la porta
socchiusa per vedere quando io vado a chiedergli se magari ha bisogno di
qualcosa o per domandargli, magari rimanendo sull’uscio, se va tutto bene. Non
lo farò, è chiaro, non ne sento il bisogno.
Infine
passo ancora da lì, qualche giorno più tardi, osservo la sua porta che lentamente
si apre, il vecchio si fa avanti, mette un piede sul marciapiede e mi vede.
Forse sapeva in anticipo che io stavo passando, penso, forse sta costruendo
qualcosa nella sua mente da rimbecillito per farmi cadere in una trappola che
ha preparato. Mi guarda, si ferma in quella posizione proprio sopra la soglia
di casa, attende paziente che io dica qualcosa, che faccia una mossa nei suoi
confronti, e allora mi fermo, lo guardo severo, dico: buongiorno; stiamo un po’
meglio, vedo. E senza aspettare risposta vado via, come sempre, per la mia solita
strada.
Bruno
Magnolfi
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