La donna era uscita di casa dopo aver saggiato a
lungo il comportamento migliore da tenere. Ormai era stufa di quei sotterfugi a
cui doveva dar seguito e anche di quegli appuntamenti giocati sul filo di pochi
momenti, la sua vita aveva bisogno di altro, se ci pensava non capiva neppure
come fosse finita in quella relazione adulterina con lui, lui che era solo un
vicino di casa, incontrato per caso da solo una sera dentro a un caffè, e che
spesso andava da lei solo per rovesciarle addosso le difficoltà con la moglie,
i problemi con il lavoro e altre cose del genere. Se ci pensava per bene non
sentiva neanche un affetto particolare per lui; certo, c’era stato un primo
periodo in cui le era apparso come il miglior uomo del mondo, ma poi le cose
lentamente erano andate cambiando, ed adesso tutta quella faccenda le era
soltanto di peso.
A lei piaceva
sognare, e c’erano stati momenti, questo era vero, in cui lui le aveva permesso
di farlo, donandole piccoli pensieri e delicate attenzioni meravigliose. Ma
questo non significava un bel niente, ormai i tempi erano diversi, doveva
prendere delle decisioni concrete che mostrassero lo spirito differente di cui
lei adesso si sentiva pervasa. Per questo aveva atteso per tutta la settimana
che lui desse segno di sé, ma come se avesse compreso che qualcosa di negativo
stava nell’aria, lui non si era fatto assolutamente vedere, ed aveva evitato di
lasciarle anche solo uno dei suoi soliti bigliettini sotto alla porta, come al
contrario altre volte aveva fatto.
Si sentiva
nervosa, inutile dirlo, non ce la faceva più a stare in casa ad attendere. Per
questo era uscita, anche se non sapeva neppure verso dove dirigersi. La serata
era fredda e umida, le luci dei lampioni lungo la strada spandevano i riflessi
come chiazze di colore sui marciapiedi; tutte le persone in giro a quell’ora
apparivano serene, tranquille nel loro passeggiare in compagnia di qualcuno
scambiando le proprie opinioni, e divertendosi nel raccontare le piccole vicende
che ognuno viveva ogni giorno. La sua solitudine, in contrasto con gli altri,
pareva caricata di orgoglio, come se la sua vita fosse costituita da un
materiale più forte, e stesse lì, lungo quei marciapiedi, solo per dimostrarlo
a chiunque.
I suoi passi
casualmente l’avevano portata fino al caffè dove tanto tempo prima si era
incontrata una sera con lui, quella volta per pura combinazione, quando
mediante l’ausilio di alcuni semplici sguardi tutto aveva trovato un suo
seguito. Così, rallentando il suo passo alla vista del locale, si era
avvicinata, aveva spinto la porta vetrata, un campanellino aveva tintinnato, e
lei era entrata lasciandosi avvolgere dall’aria calda e luminosa che c’era tra
i tavolini e il bancone di legno. Lui era lì, seduto con qualcuno che lei non
conosceva: lo ignorò, si sedette, si fece servire del the. Gli dava le spalle e
per nessuna ragione al mondo si sarebbe mai girata verso la sua direzione.
Bevve con calma il suo the, consultò qualcosa nella sua agenda, si accese una
delle sue sigarette, poi, una volta pagata la consumazione al cameriere, si
alzò dal suo tavolo e prima di uscire disse soltanto: addio, a voce alta, a
tutta la sala, ma senza riferirsi a nessuno.
Quando
raggiunse il marciapiede riprese a camminare come prima, ma pur stringendosi
nel suo paltò le pareva d’essere una persona diversa da sempre, e anche quando
si accorse di piangere, pur con tutto il bisogno che aveva di chiarezza, non
riuscì neppure a capire se lo faceva per la gioia, o al contrario, per un
dolore fino ad allora sopito.
Bruno Magnolfi