Mi siedo,
sto fermo, mi guardo attorno. Il bar della stazione è enorme e pieno di
personaggi diversi, qualcuno più insolito di altri. Non posso rimanere qui a
lungo, penso, anche se mi piacerebbe tantissimo. Sto aspettando l’arrivo del
treno di Luisa, la mia fidanzata, diciamo così, a due anni di distanza dalla
separazione dalla mia prima moglie quest’appellativo mi fa sempre un po’
ridere. Anche Luisa è separata, ci siamo conosciuti da poco, durante un convegno
a cui abbiamo partecipato. Da allora ci vediamo una volta da me e una da lei,
due ore di treno ogni fine settimana o quasi.
Mi
sono seduto a questo tavolino giusto per farmi servire un caffè, ma la mia
solitudine in mezzo alla gente mi appare un elemento fantastico, penso,
qualcosa che tra pochi minuti purtroppo perderò, e questa riflessione è
talmente prepotente che non posso ignorarla. Vorrei restare qui, guardare
queste persone, immaginare i loro caratteri decifrandoli dai gesti e dalle
parole, vorrei perdermi in mezzo a quei loro problemi, alla fretta, a qualche
immancabile dimenticanza, a tutte le espressioni che si riesce a vedere.
Forse
sono matto, penso, non si può ragionare così mentre ci attende un fine
settimana di tutto rispetto. Eppure non riesco a farne a meno, mi sembra
proprio che tra pochi minuti perderò qualcosa della mia libertà, della mia
benedetta possibilità di starmene per conto mio. Non ci avevo mai pensato
prima, anzi, in precedenza mi pareva di essere fortunato ad avere la possibilità
di rifarmi una vita, come in genere si dice, e invece all’improvviso tutto mi
sembra crollare.
Così
mi alzo, faccio un giro verso le biglietterie, ascolto ai megafoni che il treno
di Luisa è in arrivo. Mi muovo, vado verso il binario, guardo il convoglio che
si avvicina frenando, poi si ferma, si aprono gli sportelli, va avanti la
solita confusione di persone che salgono e scendono, e alla fine eccola qui,
Luisa è arrivata.
L’abbraccio,
le dico benvenuta, poi sento che questo pensiero che ho avuto poco fa devo
chiarirlo, devo dirglielo subito, devo parlarne con lei, non posso aspettare.
Così le chiedo di fermarsi con me dentro al bar della stazione, di sedersi ad
un tavolino, di prendersi qualcosa da bere, di aspettare un momento, perché
devo dirle qualcosa, qualcosa di veramente importante. Luisa mi segue, capisce
che qualcosa non va, poi all’improvviso mi abbraccia, mi guarda, mi dice
soltanto: non importa, voglio solo dirti prima che tu mi parli di qualsiasi
altra cosa, che io sono stata sincera con te, e questo periodo per me è stato
bellissimo, però non mi va di assistere a una lenta agonia; se il nostro
vederci non funziona, va bene così, ci abbiamo provato, tu non devi in nessun
caso colpevolizzarti di questo…
Bruno
Magnolfi
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