Sullo
sfondo erano stati disegnati degli alberi, e al centro della luce,
apparentemente proiettata da un basso lampione, c’era una semplice panchina e
un giovane uomo seduto. Una donna cinquantenne entra nella scena con passo
malfermo, con espressione sofferente, si guarda attorno, poi dice all’uomo: ho
perduto mio figlio; è accaduto diversi anni fa, aveva l’età per andarsene in
guerra, forse, ma lui è andato via, ed io non ne ho saputo più nulla. Adesso
continuo a girare, ad andare nei luoghi dove immagino potrei ritrovarlo, o
forse potrei sentir dire qualcosa di lui, che sta bene, non ha bisogno di
niente, che vive la vita, com’è giusto che sia. Lei non ha per caso conosciuto
una persona così?
No,
signora, dice l’uomo senza scomporsi; io non ho visto nessuno così, tantomeno
ho conosciuto suo figlio. Ho girato molto, ho incontrato tante persone, ma
nessuna di queste gli assomigliava. Perché ci vuole una persona diversa da
tutte per abbandonare sua madre e non farle sapere più niente di sé. Oppure ci
vogliono dei motivi talmente gravi per compiere un’azione del genere che non
vorrei neppure sentirne parlare. Ma lei,
piuttosto, possibile che non sappia perché lui se n’è andato quel giorno?
Ha
ragione, dice la donna dopo una pausa, è giusto che lei pensi in questa
maniera. Non si fa una cosa del genere se non ci sono dei buoni motivi. Eppure
io questi motivi continuo a cercarli dentro di me, in mezzo alle cose che ho
detto, che ho fatto, in tutto ciò che posso essere stata, ma ancora non li
trovo, non capisco quali ragioni ci possono mai essere state, e per questo
continuo a vagare come una pazza, proprio per cercare di leggere negli occhi di
chi non conosco una soluzione ai miei dubbi, ai tormenti che ancora
accompagnano ogni mio giorno. Lei forse non farebbe altrettanto?
L’uomo
intanto si solleva dalla panchina, si guarda attorno con una certa lentezza,
poi dice: forse, quello che a lei sembra poco importante, certi gesti o certe
parole di scarso rilievo per suo parere, possono essere proprio quelle che
hanno innescato tutto il resto. Parlo solo per congetture, sia chiaro, ma non
posso pensare nient’altro se non un motivo nascosto, un piccolo elemento
insignificante in apparenza, a cui lei non ha dato peso in un primo momento, ma
che adesso, forse con un pensiero più approfondito, può rivelarsi quello
scatenante, la causa di tutto. Ci pensi, rifletta, non ha forse detto o fatto
qualcosa di questo genere?
No,
signore mio, risponde la donna di getto ancora prima della fine delle parole
dell’altro. Io penso di essere stata per lui una buona madre, di averlo
allevato nella maniera migliore, di aver sacrificato tanto della mia vita
cercando di dare a lui l’educazione migliore, i più sani principi. Può darsi
che qualcosa abbia sbagliato senza accorgermene, ma quale persona sulla terra
non ne commette di errori? Com’è possibile che io debba pagare così tanto per
qualcosa di cui non riesco neppure a rendermi conto?
Forse,
dice ancora l’uomo mentre lentissimamente esce dalla zona illuminata sotto al
lampione: in ogni caso si può anche pensare che tutto quello che c’era da dire
sia stato già detto; che non ci sia più possibilità alcuna per riprendere un
dialogo ormai interrotto per sempre. Forse ogni cosa è compiuta, tanto vale
farsene ormai una ragione, guardare avanti comunque, scegliere di pensare
soltanto a quello che è stato e non tormentarsi più al cospetto di qualcosa che
potrebbe essere stato diverso. Adesso vado via, la saluto, ma non so cosa
augurarle: forse quella guerra di cui parlava all’inizio per me deve ancora
scatenarsi; ma allo stesso tempo sento dentro di me la necessità di cercarla,
di trovare, da qualsiasi parte possa essere, quella guerra per cui da tempo mi
sentivo già pronto, e di andare avanti, di perseguire ciò che mi è parso sempre
così naturale, perché questo oggi, solo questo, è tutto ciò che mi muove.
Bruno
Magnolfi
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