La ragazza aveva alzato gli occhi
dal libro rispondendo a qualcosa che si era mosso leggermente nel campo visivo
di fronte a lei. Stava ripassando con impegno su un grosso tomo zeppo di
sottolineature i temi principali dell’esame di antropologia culturale che
avrebbe dovuto sostenere tra non molto, e come sempre le capitava, si sentiva
assolutamente impreparata, come non avesse studiato affatto quei testi e quella
materia.
Vicino a lei
era arrivato un ragazzo che non aveva mai notato prima alle lezioni o lungo i
corridoi: non si era guardato attorno, non aveva chiesto niente a nessuno, si
era messo a consultare le informazioni esposte nella bacheca appesa al muro
come se fosse quello l’unico interesse di qualsiasi studente, indifferente al
fatto che lì accanto si stessero sostenendo gli esami per quella disciplina.
Poi aveva
tirato fuori dalla tasca un fogliaccio ripiegato, aveva scritto qualcosa con
una matita, infine, forse per appuntare le cose ancora meglio, era andato a
sedersi su una delle seggioline proprio di fronte alla ragazza. Lei aveva
continuato ad osservarlo con una curiosità che difficilmente si riconosceva,
aveva addirittura riposto il grosso libro che aveva sulle gambe lasciando solo
un dito tra le pagine socchiuse, giusto per tenere il segno, e quasi senza
volerlo si era concentrata su quei capelli neri, riccioli, quei lineamenti
dolci, quelle mani decise, quasi da uomo. Lui a sua volta aveva finito di
scrivere le sue cose, aveva sollevato lo sguardo su di lei come avesse
interpretato perfettamente i suoi pensieri, e le aveva sorriso, senza
tentennamenti, facendola arrossire.
Portami via, pensava lei rincorrendo
qualcosa ma soprattutto fuggendo dalle sue paure; sono qui, anche se i miei
desideri sono altri: portami via, spiegami che non ha senso tutto questo
sacrificio, che la vita è un’altra cosa, da scoprire con i sensi, da ascoltare
mentre fluisce lenta attorno a noi…; portami via, ti sarò sempre grata per
avere intuito come sono veramente, quello che attraversa i miei pensieri, ciò
che mi distoglie da questo sciocco creare futuro sulla carta, piegando la testa
a delle regole a cui per forza accondiscendo, ma che non condivido…
Lei aveva abbassato lo sguardo, la
testa zeppa di pensieri contraddittori, poi si era concentrata su una macchia
di colore in fondo al corridoio, infine si era trovata a resistere a se stessa
ed al suo prorompente desiderio di volgere gli occhi ancora su di lui, che
rimaneva seduto, di fronte, quasi per una sfida, e forse la stava osservando,
forse avrebbe voluto chiederle qualcosa, chissà…
L’assistente era uscito dall’aula e
aveva detto un nome a voce alta, ma non era ancora il suo, però lei si era
alzata, aveva appoggiato il libro sopra la sua seggiolina rispondendo ad uno
stimolo nervoso molto forte, e lui, con voce leggera ma decisa, le aveva detto:
sei la prossima? Si, aveva risposto lei, senza sapere neppure come avesse
fatto. Poi lui si era alzato, le era andato più vicino, aveva detto, quasi come
fosse un segreto: dai, rimango qui ad aspettarti mentre fai l’esame, sono
sicuro che andrà tutto benissimo, se prendi un bel voto ti offro l’aperitivo. A
lei venne di abbracciarlo, ma non lo fece. Rimase sospesa in balia di tutte le
emozioni possibili, poi chiamarono il suo nome, e quando uscì dall’aula lui era
lì, sorridente, e a lei avevano segnato trenta e lode sul libretto.
Bruno Magnolfi
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