lunedì 27 settembre 2010

A difesa del genere umano.

            

            Il numeroso gruppo degli uomini di forza si era radunato in mezzo allo spiazzo, mentre gli altri, gli anziani, le donne, i bambini di tutto il villaggio si erano posizionati ad una certa distanza. La giornata era grigia, le nuvole giocavano a rincorrersi spinte da un vento freddo e continuo, quasi fastidioso. Le enormi corde intrecciate in modo approssimativo erano già state posizionate a terra e sistemate nel modo più razionale. Ci era voluto un tempo lunghissimo per staccare la pietra più adatta dalla roccia lavica, scolpirla e trasportarla fin lì, sopra quella collina che dominava tutta la valle. Adesso posizionare in verticale quel monolite era l’atto finale.
            L’enorme buca praticata sotto al piede era stata realizzata nella maniera migliore: quando il megalite lentamente sollevato dalle corde avesse cominciato ad entrarvi, questa azione avrebbe favorito il posizionamento finale della pietra. Tutto era pronto. Si aspettava soltanto che l’artefice di tutta l’operazione desse il segnale.
            Era difficile per i bambini comprendere appieno il significato dell’erezione di un monumento del genere, però anche loro, o almeno i più grandicelli, avevano riscontrato in tutto quel periodo quanto il villaggio si fosse dimostrato solidale, unito nel perseguimento di quello scopo comune. Le corde ad un tratto andarono in trazione, i muscoli di tutti si tesero, l’enorme pietra si mosse entrando con la base dentro alla buca praticata nella terra. Poi l’apice con lentezza estenuante si sollevò dalla terra ed il cielo in quell’attimo stesso parve scurirsi anche di più, lasciando cadere una passata di pioggia fredda e sottile.
            Il silenzio dominava lo sforzo degli uomini nel vincere il peso smisurato della pietra nel suo lento innalzarsi nel cielo, tutti restavano con gli occhi puntati sul megalite, che quasi come un’entità viva conquistava poco per volta la giusta posizione eretta. Gli dei malvagi della valle avrebbero dovuto fare i conti da quel momento in avanti con quel protettore del villaggio, e la vita per uomini e donne si sarebbe dimostrata meno dura, alleviata e protetta dal simbolo stesso del loro ingegno e delle loro capacità.
            Superato il punto di sforzo maggiore il monolite adesso andava solo posizionato nella maniera più verticale possibile. Il momento era delicato, non era più una prova di forza quella degli uomini, adesso era la stessa base piatta di pietra che lasciava svettare il monumento nell’aria, le corde potevano essere mollate, la posizione finale era stata raggiunta. Qualcuno gridò in senso di giubilo, e tutti gli altri gridarono anch’essi, in un’orgia di voci che contrastava con il silenzio della collina, dello spiazzo erboso, della valle ai piedi dell’idolo.
            Poi qualcosa si mosse, la base di terra smottò forse per la pioggia che continuava a cadere, il megalite si inclinò lievemente, poi sempre di più, infine cadde di lato, in un frastuono di urla di dolore quasi insopportabili, spezzandosi in due. Il silenzio sgomento conquistò la collina per una frazione di tempo, poi tutti iniziarono a correre, lontano da lì, via da quel loro disastro: la pioggia, il vento, le nuvole, proseguivano il loro lavoro, nel folto degli alberi laggiù qualcosa si era già mosso, persisteva l’angoscia di un futuro nefasto e la valle stava già rigurgitando i suoi demoni contro la gente dello sventurato villaggio.


            Bruno Magnolfi

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