Quello
che rimane certo è che in tutto questo tempo e nonostante tutto l’impegno non è
affatto migliorato, aveva detto il padre di Luca. Questo sicuramente è vero,
aveva risposto la madre, però dobbiamo convenire che non è neppure peggiorato,
e questo forse è già un risultato. Si erano seduti nella saletta d’attesa
dell’ospedale psichiatrico, e aspettavano il turno per essere ricevuti dal
medico. Lui si sentiva depresso, pensava che le cose sarebbero andate avanti così,
probabilmente fino a quando loro due sarebbero stati troppo anziani per poterlo
ancora accudire, e questa gli pareva una prospettiva tristissima. Lei
continuava a vivere giorno per giorno e a volte le bastava soltanto
l’articolazione indistinta di una parola da parte di Luca per lasciarsi
commuovere: le pareva già così un progresso grandissimo, e questo per lei era
sufficiente a qualsiasi sacrificio.
Luca
aveva ormai otto anni, non aveva risposto quasi a nessuno di tutti gli stimoli
che avevano cercato di sollecitargli, niente pareva scalfire la corazza in cui
restava chiuso. Anche i medici avevano sperato qualcosa di più, ma alla fine i
risultati erano quelli che erano, lui rimaneva lì, inattivo, sprofondato in un
mondo diverso. E’ vero che certe volte aveva meravigliato tutti mostrando
capacità che nessuno gli aveva insegnato, ma erano stati momenti sporadici che
la maggior parte delle volte pareva aver sviluppato da solo. Si continuava
così, stimolandolo, osservandolo, senza darsi grandi speranze.
Sopra
le sedie della sala d’attesa il padre di Luca non aveva argomenti, restava in
silenzio e ripensava alle piccole cose avvenute negli ultimi tempi, quelle che
in qualche modo avessero un senso, potessero risultare significative per il
medico che seguiva la loro situazione. La madre andava avanti come sempre a
dire qualcosa a suo figlio, pur lentamente, sottovoce, spesso usando parole
isolate, come dando continuazione ad un dialogo sul quale contava e che a lei
pareva importante non interrompere. Luca come sempre guardava un punto
qualsiasi davanti a sé, con le mani toccava qualcosa di immaginario sulle sue
gambe, pareva sempre sul punto di dire qualcosa, di esprimersi, di spezzare da
solo quella corazza e abbracciare con slancio i suoi genitori; ma non lo
faceva.
Poi
un uomo arrivò quasi di corsa, bussò alla porta della stanza dove il medico
faceva le visite e attese che gli aprissero. In quell’attimo, come richiamato
da qualcosa, si volse verso Luca e lo osservò. Luca tirò su il suo sguardo, lo
guardò in fondo agli occhi, e in un attimo l’importanza di tutte le cose parve
oscillare: le sue mani smisero di cercare qualcosa, sua madre rimase in
silenzio, persino il ronzio di un neon dentro al soffitto parve attenuarsi, poi
la porta si aprì e Luca si alzò autonomamente dalla sua sedia: è il mio turno,
sembrava dicesse, dobbiamo tutti sottostare alle norme.
Bruno
Magnolfi
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