Le assi
di legno del palco avevano scricchiolato quando il signor Calzano era entrato
dentro alla scena. Sotto alle luci dei riflettori c’erano le sedie e i tavolini
di un bar, sul fondale era stato disegnato il bancone. Mi porterebbe per favore
un caffè e mezzo bicchiere di acqua gassata?, disse il signor Calzano al
cameriere nello stesso preciso momento in cui si stava sedendo. Subito, disse
quello sparendo alla vista dietro alle luci. Una donna, al margine del palco,
si muoveva lentamente di spalle cercando qualcosa dentro alla borsetta che
continuava a tenere aperta sotto ai suoi occhi. Passò un minuto, poi vide il
signor Calzano e si accostò con timidezza al suo tavolino, lui si alzò con
gesto impeccabile, e invitò la donna a sedersi con lui, e lei si sedette.
Come
vedi, disse la donna nervosamente, con la bocca storpiata in un vago sorriso,
sono venuta; ma, solo per pochi minuti, solo per il tempo sufficiente a
chiarire le cose. Mi dispiacerebbe davvero darti una delusione, continuava lei
in modo aspro, però io mi sono rifatta una vita, in fondo ne sono trascorsi di
anni, adesso ho un marito, una figlia, non ho certo aspettato che tu
sciogliessi i tuoi dubbi interiori. Non so cosa cercassi da me con il biglietto
che mi hai spedito, però sappi che io da molto non ho pensato più a te, anche
se riconosco che la nostra è stata una relazione importante nella mia vita.
Il
cameriere, con il suo piccolo vassoio, aveva intanto portato l’acqua e il
caffè, poi, appoggiando la tazza e il bicchiere sul tavolo, aveva detto
soltanto: la signora prende qualcosa? Si, per favore, aveva prontamente
risposto la donna, un gin tonic con qualche cubetto di ghiaccio. Il cameriere
solerte aveva annuito ed era sparito di nuovo, i due si erano guardati negli
occhi per una frazione di tempo; poi, il signor Calzano aveva risposto: la vita
è un materiale duttile, che cambia con facilità di forma e qualche volta anche
di sostanza. Non avevo certo immaginato che tu fossi rimasta ad attendere la
soluzione agli interrogativi che io mi ero posto quando eravamo innamorati
l’uno dell’altra, nient’affatto, e neppure avevo voglia di vederti per parlare
del nostro passato o di ciò che sei diventata oggigiorno. E’ solo per sapere se
sei felice che ti ho chiesto di venire qui stamattina.
La
donna ebbe un sussulto, si guardava le mani, la borsa appoggiata sopra le
gambe, cercava le parole più adatte, poi disse: non lo so, a te posso dirlo, ho
solo lasciato che le cose andassero avanti da sole, senza chiedermi cosa
potessi fare di diverso o di meglio. Ho un compito importante adesso da
svolgere, lo sento fuori e dentro di me, e cerco di metterci tutto l’impegno
possibile per assolverlo al meglio. Quelle che fai tu sono domande che io non
mi pongo; forse vorresti che facessi una comparazione con quando stavo con te,
ma questo è impossibile, non ci sarebbe alcun senso nel cercare un raffronto.
Però una cosa posso dirti, visto che siamo a parlarne: sento un orgoglio dentro
di me, per quello che sono riuscita ad essere oggi, superiore a qualsiasi altro
sentimento, e per questo orgoglio sarei disposta a qualsiasi sacrificio; se
sono venuta qui al tuo appuntamento è solo per dirti questa semplice cosa:
lasciami perdere, non cercarmi, potremmo giocare ai nostalgici se ci va e per
un po’ di tempo, ma questo non farebbe altro che sciupare le nostre differenti
realtà, senza costruirne di nuove.
Contemporaneamente
arrivò il cameriere, appoggiò l’ordinazione sul piano del tavolo con
professionalità, ma questo accadde proprio nel preciso momento in cui la donna
ormai si era alzata, e con un gesto quasi di stizza era ormai uscita di scena.
Bruno
Magnolfi
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