Un
tavolo, una sedia, uno sfondo grigio; una lampada dall’alto illumina lo spazio.
Un uomo entra timidamente nel fascio di luce. Si rivolge al pubblico, ma solo
dopo qualche momento: vedete, dice, qua non c’è niente, niente che io possa
fare o dire che non sia già risaputo, scontato, elemento ordinario. Qualsiasi
cosa è inutile. Però potrei raccontare una storia, una piccola storia alla
quale tengo molto, che ho pensato da lungo tempo, che ho tenuto in serbo, solo
per voi, proprio per raccontare qualcosa stasera.
Ci
siamo dannati tutti per lungo tempo cercando gli argomenti che racchiudessero
altri argomenti, rovistando tra le parole maggiori che fossero quelle più
importanti di tutte le altre; abbiamo pensato, e di ogni pensiero abbiamo
studiato la matrice, abbiamo immaginato la riflessione più alta, quella
principale di tutte. Inutile e ridicolo appare adesso anche solo dirlo: ci
siamo persi dietro questa nostra ricerca, ci siamo confusi, siamo rimasti
imprigionati durante il percorso, e non abbiamo saputo neanche più come uscire
da quel labirinto.
Per
questo, ecco, una piccola storia, un breve racconto è senz’altro ciò che può
dare il senso alle cose, proprio perché non ha nessuna pretesa, è solo una
piccola cosa in mezzo ad un mare di altre cose che ogni giorno viviamo,
ascoltiamo, percepiamo nell’aria come costituenti leggeri e necessari del
nostro inseguire le tracce; si, le tracce, le orme di qualcosa a cui cerchiamo
di assomigliare e che è sempre più avanti di noi: ne seguiamo la pista, la
scia, il richiamo fortissimo e indecifrabile che ci lascia affaticati mentre ci
affanniamo nel corrergli dietro, eppure sappiamo in partenza che saremo
perdenti, ma anche così siamo ben consapevoli che non potremo mai scegliere
altro da perseguire.
Le
storie sono solo costruzioni meccaniche messe assieme ora per stupire, ora per
insegnare qualcosa, ora per farci sognare. E’ giusto rivoltarsi a questo
automatismo scontato, non c’è nessun interesse nello starsene a bere tutto
quello che ci viene rifilato. Però, non c’è vergogna, siamo uomini e donne,
possiamo sbagliare, continuamente sbagliare ed accorgerci ogni volta di
qualsiasi errore in cui siamo caduti, eppure continuare a sbagliare, proprio
come poveri dementi fissati.
Io,
questa sera, non so neanche più di che cosa volevo parlarvi; c’è ancora qui
questo tavolo, quest’umile sedia, non so neppure chi abbia scelto questo
arredamento così minimo, non so neanche cosa farci con un tavolo e con una
sedia. Non lo so, però ci penso, ci sto pensando, forse qualcosa mi viene alla
mente: posso sedermi sopra la sedia, appoggiare i gomiti sul tavolo e in questa
posizione cercare di scrivere; si, scrivere, inventare la storia da raccontare
la prossima volta, se mai ci sarà la prossima volta. Posso studiare il racconto
da leggere quando sarà il momento più adatto, ecco, perché lo so, lo so bene,
sarà quel racconto, pur piccolo, breve, insignificante che sia, quello di
stasera oppure uno diverso, che saprà ancora convincermi che si può essere
vivi, e mi lascerà utilizzare tutte le parole possibili per dar ali alla mia
fantasia.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento