Avevano
iniziato a lavorare subito dopo la mezzanotte. Si trattava di aprire
velocemente un buco nel muro di mattoni dall’appartamento in ristrutturazione,
fino a potersi infilare nella gioielleria a fianco. Era un’occasione troppo
propizia per poterla lasciar perdere. Il paese era circa a cinquanta chilometri
da dove loro abitavano, ed era immerso nel sonno a quell’ora. Erano in quattro,
l’idea era di Mauro, poi c’era Renato, esperto in casseforti, Leandro il
muratore e Stefano che faceva il palo sul marciapiede. Nessuno di loro aveva
mai fatto una cosa del genere, ma tutti, per una ragione o per l’altra, avevano
bisogno di soldi.
Il problema
era evitare i rumori: si trattava di lavorare a mano sul cemento fino a
togliere i mattoni uno ad uno, in numero sufficiente per far passare almeno Renato,
che era magro, fin dentro al negozio. Iniziarono subito spronandosi l’un
l’altro e parlando con un filo di voce, in modo quasi ridicolo. Dopo un’ora
Leandro era esausto, sia per la fatica che per la tensione. Gli altri andavano
avanti al posto suo. Ne avevano parlato per giorni di quella nottata, avevano
considerato ogni cosa, si sentivano forti delle loro convinzioni, e Mauro era
in gamba, aveva studiato il piano nei minimi dettagli.
Alle tre il
foro era pronto, Renato poteva passare. Faceva impressione entrare in quel bel
negozio pulito in quella maniera. Uno per volta entrarono dentro anche gli
altri. Leandro pensava che gli sarebbe piaciuto andarci a comprare una collana
a sua moglie, là dentro, sedendosi assieme a lei davanti al negoziante, e
scegliendo con calma, come due clienti qualsiasi. Forse l’avrebbe anche fatto,
tra un mese o forse due, con quei soldi che avrebbe fruttato quella rapina. La
cassaforte però non voleva saperne di aprirsi: era un vecchio modello, ma era
più tosta di quello che avevano pensato, e in fondo Renato qualche anno prima
le aveva vendute qualcuna come rappresentante di commercio, ma mai svaligiate. Non
era il caso di perdere tempo, così presero quel che potevano dalla vetrina,
dagli espositori, dai cassetti del banco.
Alle quattro
Stefano fischiò. Gli altri ancora dentro spensero immediatamente le lampade,
restarono immobili, e per un attimo solo i loro battiti cardiaci accelerati
parevano riempire quel vuoto di tutto. Mauro disse qualcosa sottovoce nel buio,
ma gli altri due non capirono. Passavano i minuti e non arrivava altro segno da
fuori. Poi sentirono un altro fischio, lontano. Poco per volta ripresero
fiducia, accesero una lampada e continuarono con il lavoro. Uscirono poco dopo con
estrema circospezione ripassando dal muro, e quando tutt’e tre furono
nell’appartamento, vicini alla porta di uscita, spensero tutte le luci e Mauro
lentamente si affacciò sulla strada. Stefano non si vedeva, però c’era ancora
la macchina, parcheggiata vicino. Il sacco con tutta la roba ce l’aveva Renato,
Leandro aveva gli scalpelli e gli utensili da muratura. Dietro non avevano
lasciato niente, avevano sempre usato dei guanti, nulla poteva ricondurre a
loro quel furto.
I carabinieri
saltarono fuori all’improvviso e li immobilizzarono in un attimo. Loro non
fecero alcuna resistenza, tanto più che non erano armati e non si aspettavano
una cosa del genere. Poi spuntò fuori anche Stefano, con le manette, guardava
Mauro e piangeva, come un bambino. Mauro lo guardò cercando qualcosa da dire in
quella situazione irreale, infine trovò le parole: “Siamo dei disgraziati, non
è colpa tua; è destino che si debba rimanere quello che siamo…”.
Bruno
Magnolfi
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