Fuori
dalla finestra non c’era niente, solo una strada grigia con qualche alberello
tisico dalle radici affondate sul ciglio sassoso. Certe volte lui spalancava la
finestra e si affacciava dal davanzale nella speranza segreta di trovare
qualcosa di nuovo là fuori, come se potesse fermarsi qualcuno ad aspettarlo
sotto alla casa dove lui abitava, giusto per dirgli: “Andiamo, non è il caso di
tardare dell’altro, adesso è il momento…”. Invece ogni volta, ogni mattina, lui
si svegliava in quella sua stanza con già il sapore del niente dentro alla
bocca; apriva quelle persiane con un moto ripetitivo e automatico, quelle
cigolavano sui cardini in un triste lamento spalancandosi sulla medesima
strada, e nessuna novità era mai lì ad aspettare la sua nuova giornata.
Certe volte si
chiedeva come fosse possibile che il tempo procedesse sempre in quella maniera
monotona, con quei modi definiti una volta per tutte, e lui, che non ci credeva
all’immobilità delle cose, continuava ad immaginare un futuro diverso, uno
spiraglio di vita migliore. Dietro la
casa c’era il laboratorio, il caseificio, come dicevano tutti al paese, e lì
tutti i giorni lui e suo padre producevano mozzarelle, ricotta, formaggi
freschi. Erano sempre le medesime operazioni, i fornitori portavano il latte ed
il caglio, e loro filtravano, impastavano, bollivano, ogni giorno nel medesimo
modo. “Giuseppe”, diceva suo padre. “Controlla la temperatura della pasta…”, e
lui controllava, osservava la macchina che filava le mozzarelle e sapeva che
tutto era a posto, proprio come doveva.
Venivano con i
furgoni a ritirare i prodotti finiti ogni due giorni, e una volta firmata la
bolla tutto era fatto e concluso. Ogni tanto lui si fermava a fare due
chiacchiere con quegli autisti che portavano il formaggio ai grossisti. Nessuno
di loro aveva mai di che lamentarsi: tutti erano contenti di quella vita,
avrebbero voluto guadagnare di più, questo si, ma si accontentavano di quanto
riuscivano a mettere assieme. Per Giuseppe invece non era questione di soldi.
Lui si sentiva come costretto a fare quella vita, come se non avesse potuto mai
scegliere, e il suo destino avesse scelto per lui, fin da quando era piccolo, forse
da quando suo padre aveva cominciato a produrre il formaggio, da quando aveva
bisogno di aiuto nel laboratorio, e gli diceva quasi ogni giorno: “Appena ti
farai un po’ più grande imparerai tutto quanto, e da qui usciranno quintali di
mozzarella e ricotta…”.
Poi gli anni
erano passati e tutto era scivolato via proprio come aveva pensato suo padre,
non c’era stata alcuna possibilità di mandare avanti le cose in maniera
diversa. Così Giuseppe adesso guardava la strada e sognava che da lì arrivasse
qualcosa o qualcuno a dirgli che la sua vita doveva cambiare, osservava di
nuovo quegli alberi stenti e immaginava la strada che un giorno qualsiasi lo
portasse con sé. Poi si ammalò gravemente e fu allora che smise del tutto di
pensarci, e infine, dopo quasi sei mesi, quando riuscì finalmente a tornare guarito
nel laboratorio e a riprendere il lavoro insieme a suo padre, si guardò attorno
e gli parve tutto diverso e migliore: forse in quel periodo era passato dalla
strada qualcuno a dirgli di andar via, di andare con lui, ma Giuseppe non
l’aveva ascoltato, e forse era stata quella la cosa migliore.
Bruno
Magnolfi
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