martedì 9 marzo 2010

La via nota.

            

            Ogni giorno è un percorso mentale diverso. Si vaga dentro tracciati ordinari, consapevoli però che qualcosa nella nostra coscienza cambia ogni volta, anche se sappiamo che è inaccettabile. Si osserva tutto quanto in termini sempre oggettivi, come ci siamo sempre sforzati di fare, si assaporano i passaggi di luce da una fase a quell’altra immedesimandoci in tutto quello che accade, o almeno cercando di interpretare i piccoli eventi, gli sguardi veloci di anonimi personaggi, meravigliandoci ogni volta della nostra capacità di reazione nel far fronte agli aspetti più negativi, perché spesso sono proprio questi inciampi gli elementi che caratterizzano meglio i periodi. Infine, da qualche parte dentro di noi, si assaporano senza possibilità di evitarli quegli immancabili preliminari di angoscia, quel gusto amaro di incapacità ad affrontare quello che spesso ci capita, ed è questo il pugno allo stomaco dopo il quale, lo sappiamo, ancora ci possiamo rialzare, ma sempre ogni volta con maggiore difficoltà.
In certi casi si prova orrore della neutralità che regna attorno a noi dopo un colpo del genere, e della capacità, da parte di tutti, di riassorbire ogni qualsiasi screzio all’interno della normalità più ordinaria: inutile irritarsi in un modo non adatto a ciò che è già stato previsto, serve solo a mostrarci diversi, isolati, persone da sole che vagano senza neppure capire. Poi qualcosa, impercettibile, chiude la fase, e la memoria si offusca.
Così pensavo, in una serata di pioggia, sotto ad un piccolo ombrello, cercando almeno il senso per tornarmene a casa. C’era il vuoto intorno ai lampioni bagnati che illuminavano le pozzanghere d’acqua sui marciapiedi. Vedevo le persone lungo le strade, ma non riuscivo a comprendere il filo che univa le cose, il senso del fare, del procedere oltre, di andare avanti comunque. Forse, pensavo, serve soltanto socchiudere gli occhi e percorrere la via più consueta, quella più familiare, la strada che ci porta dove sappiamo, senza troppe domande.


            Bruno Magnolfi

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