venerdì 5 marzo 2010

Congiunture difficili.



Il signor Erik era seduto su una delle poltrone di pelle intorno al grande e lucido tavolo per le riunioni, il computer portatile acceso di fronte e il telefono accanto. Mancava ancora un’ora all’incontro, ed io e il signor Erik preparavamo ognuno per suo conto e in silenzio i documenti sui quali avremmo discusso con gli altri dirigenti della società. La situazione era difficile, si trattava di far fronte ad una riduzione delle commesse di quasi il dieci per cento: gli argomenti sui quali confrontare le idee erano la manutenzione dei livelli produttivi in attesa del rilancio, e l’introduzione di buone idee per agganciare a breve termine nuovi mercati.
C’erano molte aspettative da parte di tutti nei confronti del signor Erik; pur essendo lui un consulente tecnico esterno era giudicato nel suo campo il migliore, un grande pignolo nel suo lavoro, un vero mago in situazioni difficili, ed ogni suo parere sarebbe stato senz’altro vincolante. Io ero soltanto un capoufficio in quella sede, il mio parere fortunatamente non sarebbe stato neppure richiesto, mi sarei limitato a passare le carte e a versare l’acqua ai relatori una volta iniziata quella riunione.
Fuori dalla grande vetrata in fondo alla sala, appena coperta da una tenda bianca a listoni, la giornata appariva grigia e noiosa, e i forti rumori del traffico nelle strade congestionate di tutto il quartiere non arrivavano affatto, dando l’idea di un luogo tranquillo e silenzioso. Il ticchettare dei tasti sul computer del signor Erik era il rumore più forte dentro alla sala, e le telefonate che ogni tanto raggiungevano il suo telefono si limitavano ad una vibrazione leggera, poche parole sussurrate nell’apparecchio e poi basta. Ma una mosca era entrata chissà da dove in quel silenzio irreale, e ronzava nell’aria attirata dal monitor acceso di quel computer. Il signor Erik sull’immediato aveva finto opportuna indifferenza, ma quando la mosca era andata a posarsi sulla sua fronte un gesto di fastidio gli era sfuggito. Mi aveva guardato, ed io avevo assunto l’espressione di chi non sa proprio come risolvere la situazione incresciosa.
Poi mi ero alzato, avevo tirato la tenda motorizzata, e fatto scorrere il vetro per cercare di far uscire la mosca. Il rumore da fuori era penetrato come una bomba, insieme ad un senso di polvere e di aria calda sgradevole, che cozzava terribilmente con l’atmosfera filtrata e condizionata nella quale eravamo stati immersi fino ad allora. La mosca naturalmente neppure si era avvicinata al finestrone, ed io prontamente avevo richiuso la vetrata e la tenda. Il signor Erik a quel punto aveva chiesto del bagno, probabilmente per dare a me la possibilità di sbarazzarmi in qualche maniera di quella maledettissima mosca. Così difatti cercai di fare, una volta rimasto da solo, brandendo un giornale ripiegato e cercando di schiacciare la mosca appena questa si fosse posata su un piano. I miei tentativi però sembravano inutili, la mosca pareva mi evitasse con accuratezza, ed io avevo iniziato a sudare per la tensione e anche per lo sforzo a cui ero costretto.
Infine si era fermata, ma proprio sulla tastiera del computer acceso del signor Erik, ed io mi ero avvicinato con tutta la calma che ero riuscito a trovare, giusto per infierire un colpo mortale alla bestia che sfortunatamente un attimo prima si era sollevata. Ma il colpo che ormai avevo scagliato con il mio giornale forse era stato superiore ad ogni mia intenzione, e non mi aveva neppure permesso di rendermi conto che in un attimo avevo annullato tutto il lavoro svolto quella mattina dal signor Erik: il computer si era spento senza che fosse stato fatto alcun salvataggio, ed io, senza parole, me ne ero reso conto proprio nello stesso momento in cui lui stava rientrando dentro alla stanza, ed era rimasto lì, immobile, ad osservare esterrefatto quel che stava accadendo.


Bruno Magnolfi

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