L’attacco
era giunto improvviso, senza neppure darmi il tempo per prepararmi. Avevo
avvertito semplicemente l’immediato paralizzarsi degli arti, il blocco di tutti
i muscoli, l’impossibilità repentina persino di gridare aiuto, e in un primo
momento la mia stessa capacità di pensiero mi era parsa terribilmente
compromessa. Il dolore era fortissimo e diffuso, non riuscivo neppure a
rendermi conto dove fosse maggiormente dislocato, e tutto in un attimo era parso
assolutamente irrimediabile. Naturalmente ero subito caduto a terra, in un
punto qualsiasi del pavimento, poi il mio corpo aveva istintivamente
rigurgitato qualsiasi cosa si trovasse nello stomaco. Non mi muovevo, ero
impossibilitato a farlo, l’unica mia attività era data da un tremolio forte e
continuo del mio corpo dentro ad una pozza di bava e succhi gastrici.
Poi, dopo un
buon lasso di tempo durante il quale praticamente non accadde niente, la mia
attività cerebrale si scrollò almeno parzialmente da quel senso di panico di
cui era rimasta preda, e così iniziai a cercare delle possibili soluzioni. Pensavo,
questo si, ma tutto il resto delle mie attività risultava impossibile. Infine,
d’improvviso, tutto parve trovare un attimo di pace. Giacevo lì, immobile, ma
la mia coscienza pareva in grado di funzionare, anzi, sembrava addirittura
caduta in una sorta di surreale tranquillità. I pensieri, senza alcun
collegamento l’uno con l’altro, avevano preso a dipanarsi in modo continuo,
lasciandomi scoprire vecchi ricordi che per una ragione incognita adesso mi
tornavano alla mente.
Era
meraviglioso disinteressarsi del proprio corpo per tenere dietro a delle
emozioni provate in altri tempi, era un po’ come riviverle, gustarne a fondo il
senso in modo separato rispetto all’angoscia della realtà vera. C’erano le
immagini di quando ero bambino, i giochi da adolescente, i primi amori, e poi la
giovinezza, con il suo carico di entusiasmo straordinario; c’era tutto, tutto
ciò che la mia vita aveva percorso nel suo cammino spesso casuale e qualche
volta assurdo. Tutto scorreva in modo semplice, piacevole, come su uno schermo
davanti a quel mio sguardo immobile. Magari qualche ricordo era più triste,
meno aggraziato nel suo tornare dal fondale scuro della memoria. Qualcosa non
era andato bene durante tutti quegli anni, qualche errore c’era stato, avevo
pur commesso qualche cattiveria nei confronti di qualcuno. Se ci pensavo bene
ancora mi vergognavo di qualcosa, di qualche piccola eventualità in un primo
tempo senza importanza, che in seguito però aveva assunto un certo peso.
Ero stato
audace con una ragazza che neppure era il mio tipo, una volta. E il suo
fidanzato non era rimasto contento del mio comportamento. Si era avvicinato,
aveva detto qualcosa che non avevo neanche capito, e poi mi aveva spinto. Io
ero caduto all’indietro, quasi senza rendermene conto, e in un attimo mi ero
ritrovato a terra, su quel pavimento, paralizzato da qualcosa che non mi ero
aspettato. Forse la posizione in cui mi ero ritrovato in quel momento era
esattamente la medesima di adesso, pensavo; forse tutti questi anni erano
trascorsi soltanto per farmi riprovare quella stessa sensazione. Forse,
l’assurdità di quella volta era la stessa di cui adesso sentivo tutto il peso: ma
certe volte anche se non c’è senso in ciò che succede, le sensazioni però ne
misurano tutta quanta l’importanza. Probabilmente era una sciocchezza ciò che
era accaduto quella volta, però qualcosa si era scatenato dentro di me,
qualcosa che non avevo più dimenticato.
Poi lentamente
mi ero sollevato da quel pavimento, avevo recuperato l’uso del mio corpo, mi
ero reso conto di ciò che era successo giusto per capire che non era affatto
grave: la vita poteva proseguire, non era niente quel piccolo dolore rimasto
dentro alla coscienza, una semplice normalità del quotidiano.
Bruno
Magnolfi
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