I
ragazzi davanti al bar erano annoiati, come sempre. Stavano tutti seduti in malo
modo sulle sedie di plastica, uno giocava distrattamente con i sassi della
ghiaia. Qualcuno poco prima aveva proposto qualcosa da fare, purtroppo senza
energia, e gli altri avevano immediatamente smontato qualsiasi possibile
entusiasmo. Era normale che stessero così, le loro giornate, specialmente di
sabato, come quel giorno, scorrevano spesso vuote di tutto. Qualcuno lavorava
come apprendista, qualcuno andava ancora a scuola, ma tutto quello che facevano
parevano subirlo, e la loro età sembrava fatta apposta per renderli scontenti.
Poi,
d’improvviso, arrivò Franco. Spense il motore dello scooter, si tolse il casco,
si guardò attorno, con un modo di fare vago e strano. Si vedeva raramente
Franco; lui aveva sempre mille interessi e non ci teneva a passare le giornate
al bar senza far niente. Però era in gamba ed era rispettato. Si avvicinò agli
altri con la faccia seria, alzò leggermente una mano in segno di saluto
generale, poi, appoggiandosi ad una sedia,
disse a voce alta: “Ho bisogno di voi”. Nessuno ebbe una reazione
visibile, forse qualcuno pensò a cosa mai si fosse inventato Franco per quel
pomeriggio sonnacchioso. “Per fare cosa?”, rispose Leo interpretando gli altri.
“Niente di speciale…”, disse lui come cercando le parole. “Dobbiamo aiutare dei
ragazzi più piccoli di noi a montare il palco di un teatro in miniatura,
proprio qui vicino”.
Nessuno riuscì
a trovare le parole per smontare quel progetto, in fondo pareva un’opera buona,
e nessuno aveva voglia di sentirsi cattivo per scarsa volontà; lentamente
qualcuno iniziò ad alzarsi dalla sedia, e in cinque minuti tutti erano sopra ai
motorini pronti per seguire Franco, anche perché non c’erano molte alternative
valide. Arrivarono sul dietro dell’ospedale pediatrico con una certa
perplessità, ma mentre cercavano di chiedere a Franco qualche spiegazione, lui
era già sceso di sella per parlare con un paio di persone che stavano lì, come
aspettandoli. Entrarono tutti dalla porta di servizio e in un attimo si
ritrovarono in una larga sala ingombra di tavole e legname. I due che parlavano
con Franco tirarono fuori gli utensili che dovevano servire, e in un attimo fu
disteso il progetto del palco.
Tutti
iniziarono a lavorare, ogni pezzo era numerato, non era difficile il montaggio
una volta scelta la collocazione migliore per quella costruzione. Qualcuno
cercò di chiedere una spiegazione, ma pareva non ci fosse il tempo per perdersi
in discorsi. Ci vollero più di due ore, ma alla fine il palco era pronto. Furono
allineate anche le sedie per il pubblico e in un attimo era tutto a posto, il
giorno seguente i piccoli ammalati avrebbero assistito ad una recita. Franco
era contento, e anche i suoi amici parevano piuttosto soddisfatti.
Il pomeriggio seguente
era domenica ed i ragazzi si ritrovarono come sempre al solito bar. Franco non
c’era, e non fu chiaro a chi di preciso venne l’idea, ma quando fu proposto di
andare a vedere lo spettacolo di teatro del pediatrico, tutti furono d’accordo.
Arrivarono lì, aprirono con circospezione la porta di servizio, si infilarono
dentro in silenzio fino alla larga sala del giorno precedente e scoprirono che c’era
Franco, li stava quasi aspettando, era contento che ci fossero tutti, perfettamente
a tempo, dopo pochi minuti sarebbe iniziato lo spettacolo.
Medici e
infermieri si erano truccati e la recita era davvero divertente. Alla fine
furono fatti i ringraziamenti a tutti coloro che avevano partecipato, e Leo chiese
a Franco di chi fosse stata l’idea generale. “Di alcuni bambini”, disse lui. “Bambini
stufi di essere solo ammalati, e che soprattutto hanno avuto pena di un gruppo
di ragazzi che passavano interi pomeriggi in un bar, senza far niente…”.
Bruno
Magnolfi
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