“Potresti
dirmi che è sciocco, da parte mia, cercare la verità in quello che dici. Ma non
è questo. Quello che scalfisce la nostra relazione è il fatto che tu non dica
niente, che lasci dei silenzi, dei vuoti tra di noi che non vengono mai
riempiti”, disse lei. Lui si guardò attorno, come prendendo una pausa di
riflessione. C’erano molte nuvole in cielo quel giorno, i tetti delle case
apparivano umidi, le panchine del belvedere erano deserte, là sopra si vedevano
soltanto loro due. Poi disse: “Qualsiasi cosa per te non sarebbe sufficiente, e
se anche lo fosse basterebbe per dieci minuti, una mattinata, al limite per
qualche giorno, poi tutto tornerebbe come prima”.
Si alzò dalla
panchina, si accese una sigaretta, si guardò ancora attorno distrattamente, si
vedeva che era in imbarazzo, forse che non avrebbe voluto neppure essere lì, ma
accettava il gioco come chi sa valutare il peso delle cose. “Forse hai ragione”,
disse lei a cui non piaceva mettere gli altri a disagio, specialmente lui;
“Spesso sono troppo apprensiva, mi sembra continuamente che tutto mi sfugga di
mano per quanto cerchi di stringere a me le poche cose che sono riuscita ad
avere nella mia vita”. “Ecco…”, disse lui senza guardarla, “Continui a dividere
le cose e le persone tra quelle che ti appartengono e le altre, senza invece
cogliere le parti belle o più interessanti che ti passano vicino, magari
mescolate alle cose di ogni giorno ”.
“Però devi
riconoscere che con te riesco ad essere molto misurata”, lo interruppe lei. “Ci
vediamo soltanto quando lo decidi tu; ci sentiamo per telefono solo una volta o
due alla settimana: a me sembra di stare anche troppo nell’angolo ad aspettare
che ti prenda la voglia di interessarti a me”. “Questo è vero”, disse lui. “Ma
non potrebbe essere in altra maniera; le nostre giornate sono complesse, siamo
continuamente risucchiati da altre cose, altri interessi; vedersi, per me e per
te, è diventata un’oasi di frescura nel caldo torrido del deserto; una pausa
nella frenesia delle cose da fare”. “Vuoi dire che con questo poco tempo non
possiamo neanche permetterci di dire tutto, di essere sinceri?”. “Certo”,
riprese lui; “Non vale neanche la pensa di provarci, perché è un proposito
assurdo, una sfida persa in partenza. L’unica possibilità che resta è
immaginare tramite i pochi elementi a disposizione quello che per forza di cose
non possiamo dirci. Possiamo scambiarci dei frammenti, niente di più.
Ricostruire tutto il quadro è lo sforzo mentale e affettivo a cui siamo chiamati”.
Lei si alzò in
piedi, si avvicinò al parapetto come assorbita improvvisamente da qualcosa che
aveva visto. Poi si volse verso di lui. “La nostra intesa quindi farebbe da
collante per tutti i frammenti che ci scambiamo?”. “Esatto”, disse lui dopo una
boccata di fumo della sua sigaretta, ed è un equilibrio di cose che gestiamo
solo tu ed io”. Si avvicinarono lentamente, e lei si lasciò abbracciare, come a
suggello di quel ritrovarsi; lui le sfiorò il viso con la mano, poi la baciò,
con dolcezza. Lei guardò l’orologio, disse: “Dobbiamo andare”, con un filo di
voce, quasi sussurrando. Così si salutarono in un attimo, come sempre senza
dirsi quando e dove si sarebbero rivisti, e ognuno di loro con gesto nervoso
rientrò velocemente dentro la sua auto, pronto per raggiungere ognuno la sua casa
e il proprio coniuge.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento