Il
torrente in estate diventava un rigagnolo d’acqua che scorreva in mezzo a
ciottoli bianchi e levigati. Un paio di chilometri più avanti, rispetto alla
strada, costeggiando gli argini erbosi lungo un sentiero, si raggiungeva una
radura tra gli alberi dove il fiume si allargava in un laghetto d’acqua verdina
e profonda, dominata dalla chiusa di ferro che regolava il flusso e il livello
di tutto l’invaso. Non era la prima volta che i due ragazzi andavano a pescare
là dentro, si stava bene seduti sul muretto di cemento ad osservare il
galleggiante tremolare sulla superficie quasi ferma, e se si allenavano gli
occhi si potevano vedere le sagome dei cavedani che incrociavano sul fondo
della piccola diga.
Avevano
discusso a bassa voce sull’uso dell’esca, sulla profondità dell’amo nell’acqua,
sul posto migliore dove pescare, se all’ombra o nel sole, e infine uno dei due
aveva tirato fuori dall’acqua una bella preda guizzante lunga quanto una mano,
e questo fatto aveva chiuso ogni polemica. L’altro ragazzo si era sentito
vagamente umiliato, e dopo un po’ aveva detto che si stava annoiando in quel
caldo silenzioso con le maledette zanzare ad infastidirlo. Così si era
spogliato, e in mutande era entrato nell’acqua fino ai ginocchi, giusto per
rinfrescarsi, nella parte più a monte. L’altro non aveva detto niente,
concentrato com’era sul suo galleggiante che ogni tanto spariva sott’acqua
dietro a quell’esca che pareva funzionasse davvero. Dopo poco tirò su un altro
pesce, più o meno delle medesime dimensioni, e dopo solo cinque minuti un altro
ancora, di dimensioni anche maggiori.
L’altro
intanto si era sdraiato nel fresco dell’acqua, e si divertiva a nuotare da una
riva a quell’altra, con bracciate deboli e lente, ad evitare di smuovere la
fanghiglia del fondo. L’amico che era rimasto a pescare era eccitato al
massimo, e già immaginava la mamma che avrebbe cucinato quei pesci alla sera,
riempiendolo di soddisfazione. Ogni tanto l’amico, a distanza di una ventina di
metri, gli chiedeva con sufficienza: “Come va?”, e lui concentrato com’era,
ormai neppure si preoccupava di rispondere.
Poi, dal
casotto poco distante, si sentì provenire un rumore, quasi una vibrazione, e
nel giro di un attimo l’acqua iniziò a scorrere velocemente verso la chiusa; il
ragazzo tirò su velocemente il filo da pesca, e mise via con rapidità tutta la
sua attrezzatura ad evitare problemi, visto che lì accanto c’era il cartello con
su scritto: Vietato pescare; poi si volse di scatto a guardare il suo amico. Ma
il ragazzo era già in difficoltà, la corrente improvvisa l’aveva portato dove
non toccava più il fondo coi piedi, e pur impegnandosi al massimo a nuotare
contro corrente non riusciva a tener testa a quel flusso. L’altro cercò subito
un bastone, una corda, qualsiasi cosa per potergli dare una mano, ma la
situazione pareva diventare drammatica ogni momento di più. Si urlarono
qualcosa, poi lui chiamò aiuto a voce alta, più alta che gli riusciva, ma non
c’era nessuno nei dintorni e vide il suo amico ancora annaspare ormai a ridosso
di quella maledettissima chiusa, dove la corrente era fortissima e nessuno
poteva aiutarlo.
Sparì dentro
l’acqua, in un attimo, lui corse dalla parte esterna della piccola diga, ma lì
l’acqua usciva tranquilla, come non stesse accadendo un bel niente. Andò subito
a cercare qualcuno, e già dopo un’ora il livello dell’acqua fu fatto abbassare
dai tecnici, ma tutto questo servì solo per mostrare il povero corpo del
ragazzo, dell’amico affogato, rimasto
impigliato nella grata del fondo.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento