Iniziai con la convinzione che
era possibile, ne ero sicuro. Ci sarebbe voluto forse un anno ma il mio
progetto avrebbe funzionato senz’altro. Riparavo orologi, lo facevo da sempre, lavoravo
a casa mia, in un piccolo sottoscala che avevo attrezzato esclusivamente per
quello scopo: una volta la settimana restituivo gli orologi riparati al negozio
e prendevo in carico quelli su cui lavorare. Tutto il mio tempo lo passavo a
smontare e rimontare meccanismi minuti di precisione, concentrandomi a fondo, fino
a perdere del tutto la cognizione delle ore trascorse. Così decisi che avrei
dormito una sola volta ogni due giorni, per recuperare del tempo da dedicare
alle riparazioni.
Era pesante
impormi quei ritmi, ma il lavoro mi piaceva talmente da spronarmi in quel
tentativo. Iniziai con l’allungare il mio turno lavorativo di dieci minuti ogni
giorno. Dopo tre mesi andavo già avanti a lavorare per tutta la notte, e solo al
mattino crollavo, ma il mio progetto doveva procedere. Così iniziai ad aiutarmi
con delle metanfetamine in dosi leggere e solo al bisogno. In seguito usai
anche il GHB, la cocaina, il crack, qualsiasi cosa mi desse la possibilità di
andare avanti e di non avere quasi bisogno di riposare. Era solo questione di
tempo, ne ero sicuro; dovevo abituare poco alla volta il mio organismo al nuovo
ciclo di veglia e di sonno. Quando mi addormentavo, lo facevo ormai per almeno
dieci ore filate, e al mio risveglio riprendevo a lavorare senza battere
ciglio.
Nel mio
sottoscala la luce del sole non arrivava minimamente, potevo permettermi di
pensare che fosse qualsiasi ora del giorno o della notte. I miei orologi
riparati ticchettavano allegri ricordandomi continuamente il progetto. Dopo
altri quattro mesi c’ero arrivato. Saltavo completamente la notte occupandola
interamente con il lavoro, andavo avanti per tutto il giorno seguente e infine
crollavo la sera, con un sonno programmato di dodici ore. Al negozio erano
contenti: mi dissero che ero diventato davvero bravo, e adesso riuscivo a produrre
quasi il doppio di quello che avevo fatto l’anno precedente. Così chiusero i
rapporti con un altro orologiaio che svolgeva il mio stesso lavoro e che io
conoscevo ma solo di vista, giusto per concedere a me tutta quanta la
produzione del settore riparazioni.
Adesso che
avevo trovato il mio ritmo potevo sentirmi contento, continuavo a prendere
soltanto del Subutex o del metadone, giusto per non sentire la dipendenza da
quella robaccia che il mio organismo ormai aveva acquisito. Fu allora che
arrivarono le porcherie elettroniche, l’ora digitale a lettura diretta: il
mercato degli orologi meccanici crollò verticalmente, e nessuno faceva più
riparare alcunché. Al negozio mi dissero che anche loro stavano cambiando
completamente mercato, con il risultato che adesso il lavoro per me si era
ridotto di più di due terzi, fino a lasciarmi inoperativo per tantissime ore
ogni giorno. Addirittura ogni tanto potevo permettermi di chiudere gli occhi
per cinque minuti, giusto per un sonnellino ristoratore.
Poi incontrai
per caso lo spacciatore che mi aveva sempre procurato la roba, gli dissi che
avevo del tempo e lui mi chiese di dargli una mano. Così la notte che mi ero
abituato a trascorrere sveglio, mi recavo nei posti che lui mi indicava per
vendere quella robaccia, e siccome non avevo mai sonno ero preciso con i
clienti nelle consegne e nelle dosi. Quando mi arrestarono, un mese più tardi,
dissi che il mio lavoro era un altro, ma non mi dettero retta, e mi costrinsero
a dormire ogni notte, rispettando i turni di tutti gli altri carcerati rinchiusi
là dentro. Quando uscii di galera ero a terra: non avevo un lavoro e non sapevo
neanche più se mi conveniva dormire di notte o di giorno. Allora mi chiusi nel
mio sottoscala e quasi per scherzo cominciai a costruire orologi artigianali, ideati
da me, con un marchio mio, e in poco tempo i miei prodotti divennero un culto, procurandomi
soldi e soddisfazioni.
Bruno
Magnolfi
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