Corrado
Barresi camminava sul marciapiede lungo la strada. Non gli interessava il
traffico delle auto, le nuvole nere che indicavano minaccia di pioggia, la
direzione verso cui era diretto. Camminava e basta, disinteressato a tutto il
resto. Era vestito come sempre: completo grigio, camicia bianca, cravatta,
soprabito leggero, così come normalmente si presentava al suo posto di lavoro.
Osservò distrattamente il suo orologio da polso: le dieci e trenta del mattino;
per il suo mestiere l’orario di punta, quando la filiale della banca era piena
di clienti e gli impiegati dovevano muoversi se non volevano sfigurare coi
colleghi e con la direzione.
Corrado Barresi
pensava a quante poche occasioni aveva avuto nel passato di starsene in giro a
quell’ora in un giorno feriale: certo, c’erano stati i periodi di ferie e
qualche malattia di poco conto durante quei lunghi quindici anni di lavoro con
la banca. Ma adesso era diverso: girava senza meta con la testa confusa e si chiedeva
come fare a prendere coscienza di quel sentirsi disoccupato, senza più un
lavoro. Tutto era iniziato parecchi mesi indietro con le prime lettere di
avvisaglia per quel venti per cento di impiegati di cui la banca intendeva
disfarsi, ma tutti erano arrivati fino all’ultimo giorno sperando in un
ripensamento, in una soluzione differente da parte della direzione. Ma il
destino si era abbattuto su tutti e anche su di lui, senza alcuna variazione.
Corrado
Barresi sicuramente nelle prossime settimane avrebbe cercato un altro posto di
lavoro, si sarebbe dato da fare, avrebbe bussato ad ogni porta possibile, ma le
sensazioni che provava quella mattina, in quel primo giorno di forzata
inattività, sarebbero rimaste indelebili dentro di lui per molto tempo. Non
aveva avuto il coraggio di dirlo a nessuno dei suoi conoscenti, neppure a
quegli amici che frequentava in modo saltuario. Si era tenuto per sé la verità,
come se quella cosa fosse stata troppo grossa per permettergli di rivelarla in
giro. Non tanto perché si vergognava di essere stato licenziato, quanto perché
senza il suo lavoro non si sentiva niente, non aveva più un suo ruolo.
Corrado
Barresi girava per le strade della sua città ma si sentiva un fantasma,
trasparente, quasi come se non esistesse più. Si era fermato ad osservare una
fontana d’acqua in un giardino, si era seduto per un po’ su una panchina, aveva
finto di guardare interessato qualcosa in un opuscolo trovato sopra un muro.
Non sapeva proprio come riempire il tempo, questo il problema principale di
Corrado Barresi. Poi vide la vetrina di un piccolo negozio di rigattiere. La
scrutò, fermò lo sguardo su ognuno di quegli oggetti unici esposti volutamente
in modo caotico, quindi la sua attenzione fu attratta da una tromba. Una
piccola tromba di ottone opaco che pareva parlasse di sé in quella vetrina, e
di tutte le persone che avevano soffiato dentro di lei fino a quel giorno,
lasciandola alla fine lì, apparentemente senza uno scopo.
Corrado Barresi
entrò dentro al negozio ed acquistò la tromba, senza neppure chiedersi il
motivo di quel gesto, senza averne mai suonata una in vita sua, senza discutere
sul prezzo. Solo sentendosi come trasportato da qualcosa, dentro di sé. Nei
giorni successivi provò a suonarla in qualche giardino poco frequentato. Con
impegno cercò di impostare il labbro, di pigiare sui pistoni, di far uscire
almeno un suono ben riconoscibile e convinto. Poi, alla fine di quella
settimana, si presentò sul suo vecchio posto di lavoro, alla filiale della
banca, entrò all’interno come un qualsiasi cliente, si mise in coda come tutti,
e aspettò il suo turno. Ma ad un tratto Corrado Barresi tirò fuori la sua
tromba, la portò alla bocca, impostò tutta la sua persona in quel gesto, come
un musicista esperto, ed emise il suono più squillante e deciso che mai là
dentro fosse stato udito, lasciando tutti di sasso e ridendo a squarciagola, immediatamente
dopo, sia di sé che di quel luogo.
Bruno
Magnolfi
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