Cosa sarà
questo tempo che fugge, questo bisogno di incarnare per forza il personaggio
contemporaneo, l’aggiornamento continuo su ciò che sembra diverso e invece è
solo un filtro migliore per le solite cose, una maniera per digerire più in
fretta e con minore memoria i sassi di sempre? Fuori c’è vento, gli alberi
piegano i tronchi, le foglie secche volano via senza rimedio, eppure tutto è ancora
immobile.
Cammino lungo
una strada, osservo le case, le persone, i negozi aperti sui marciapiedi del
centro, e mi sembra che tutto sia vivo, che il senso di oggi sia diverso da
sempre ed apra nuovi orizzonti sul divenire. Poi torno a casa, salgo le scale,
apro la porta, e all’interno del mio piccolo appartamento ritrovo il caldo
accogliente di sempre.
Non importa
che la polvere sia caduta anche oggi sopra i mobili e sui pavimenti, il dato
che emerge è che qualcuno, tramite il monitor acceso dentro la stanza, anche
oggi possa insegnarmi come fare, come procedere, come sopravvivere, e soprattutto
cosa pensare. Ecco, è lì il punto debole dove ancora mi dibatto prima di essere
preda della lezione: non ho più voglia di scrivere qualcosa immaginando di
essere libero di farlo. Così so per certo che tutto è già stato fatto, tutto è
stato già riflettuto, e il mio monologo sarà lettera morta, ininfluente.
Forse ho
capito, la vera solitudine è proprio sforzarsi di capire cosa sia questo
percorso. Nessuno ti segue, la solitudine fa paura, nessuno leggerà volentieri
queste parole, perché certi discorsi saranno sentiti soltanto come provocatori
per ciò che è stato già del tutto previsto, pianificato.
Bruno Magnolfi
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