giovedì 11 marzo 2010

Da solo.

            

Cosa sarà questo tempo che fugge, questo bisogno di incarnare per forza il personaggio contemporaneo, l’aggiornamento continuo su ciò che sembra diverso e invece è solo un filtro migliore per le solite cose, una maniera per digerire più in fretta e con minore memoria i sassi di sempre? Fuori c’è vento, gli alberi piegano i tronchi, le foglie secche volano via senza rimedio, eppure tutto è ancora immobile.
Cammino lungo una strada, osservo le case, le persone, i negozi aperti sui marciapiedi del centro, e mi sembra che tutto sia vivo, che il senso di oggi sia diverso da sempre ed apra nuovi orizzonti sul divenire. Poi torno a casa, salgo le scale, apro la porta, e all’interno del mio piccolo appartamento ritrovo il caldo accogliente di sempre.
Non importa che la polvere sia caduta anche oggi sopra i mobili e sui pavimenti, il dato che emerge è che qualcuno, tramite il monitor acceso dentro la stanza, anche oggi possa insegnarmi come fare, come procedere, come sopravvivere, e soprattutto cosa pensare. Ecco, è lì il punto debole dove ancora mi dibatto prima di essere preda della lezione: non ho più voglia di scrivere qualcosa immaginando di essere libero di farlo. Così so per certo che tutto è già stato fatto, tutto è stato già riflettuto, e il mio monologo sarà lettera morta, ininfluente.
Forse ho capito, la vera solitudine è proprio sforzarsi di capire cosa sia questo percorso. Nessuno ti segue, la solitudine fa paura, nessuno leggerà volentieri queste parole, perché certi discorsi saranno sentiti soltanto come provocatori per ciò che è stato già del tutto previsto, pianificato.


Bruno Magnolfi

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