Accanto
alla panchina nei giardinetti dove il signor Calamassi era solito andarsi a
leggere il giornale per far trascorrere almeno un’ora della sua interminabile
mattinata, un piccolo foglio di carta piegato in due era rimasto sull’erba,
come smarrito o dimenticato da qualcuno che oramai sicuramente era lontano. Il
signor Calamassi lo aveva notato, mentre raggiungeva il suo luogo di lettura,
ma in un primo tempo non si era preoccupato affatto di raccoglierlo, non gli
sembrava assolutamente un compito suo interessarsi dei fatti degli altri, ma in
seguito una certa curiosità gli era iniziata a venire, non foss’altro perché
nel lato interno del foglio, osservandolo meglio, si intravedeva una pagina
scritta con inchiostro blu, il suo preferito, in modo fitto e ordinato.
Non gli piaceva certo al signor
Calamassi, dall’alto della sua posizione di docente universitario in pensione,
fare la figura di quello che non tiene sott’occhio la realtà, e non si accorge
neppure di un elemento, magari importante, che gli resta vicino, a portata di
mano, quasi come se tutti quegli anni trascorsi dietro una cattedra non gli
avessero insegnato che è solo da piccoli e nascosti particolari, uno sguardo,
un passaggio di appunti, un bisbiglio all’orecchio, che si arguisce il livello
di comprensione degli studenti nei confronti della materia spiegata. Quindi, a
seguito di queste considerazioni, stava per alzarsi dalla panchina, la sua
preferita di tutto il giardino, e andare a raccogliere il foglio, quando da un
lato arrivò una giovane donna camminando malferma sui tacchi per via della
ghiaia, passò di lato alla panchina dove era seduto il signor Calamassi, e non
mancando di guardarsi un po’ attorno proseguì in silenzio la sua passeggiata.
Forse era lei la proprietaria
del foglio di carta, pensò il signor Calamassi, forse un abbozzo di lettera
d’amore scritta proprio su quella panchina e poi dimenticata là sopra, tanto
che un minimo colpo di vento l’aveva in seguito appoggiata sull’erba in una
zona meno visibile. Ed era certo che la signorina, tornata indietro a cercarla,
non l’aveva adesso potuta vedere, perché coperta proprio dalla sagoma del
signor Calamassi, che a questo punto diventava quasi complice di una
situazione, correo di avere impedito il felice ritrovamento di quelle parole.
Si imponevano due scelte,
almeno alla sua sensibilità battagliera: se fosse passata di nuovo la signorina
il signor Calamassi doveva chiederle direttamente se era di sua appartenenza la
lettera, tanto più che trovandosi ancora sull’erba non era possibile che lui ne
avesse sbirciato il contenuto, sfuggendo così a qualsiasi timidezza; oppure, se
questo non fosse accaduto ma nel foglio, per fortunata eventualità, fosse stato
indicato l’indirizzo del destinatario, lui l’avrebbe raccolta, piegata con cura
e infilata dentro a una busta per spedirla senz’altro.
La giovane donna non tornò sui
suoi passi, e in compenso una mamma con il suo passeggino era venuta poco dopo
a sedersi proprio sul lato libero della panchina del signor Calamassi, tanto
che lui aveva quasi pensato di andarsene e lasciar campo libero. Ma poi, si era
chiesto, la lettera? Non poteva abbassarsi e prenderla adesso, davanti a dei
testimoni, dopo che era rimasto seduto su quella panchina per metà della
mattinata, indifferente a tutti i fogli di carta del mondo. E la signorina di
prima sembrava svanita, persa anche lei nella ricerca di quanto aveva smarrito.
La tensione si era fatta
elevata, il signor Calamassi osservò il suo orologio e si accorse che era
arrivato il momento in cui ogni giorno passava dal forno, acquistava del pane,
e con quello rientrava, soddisfatto di una piccola azione a cui teneva
moltissimo. Un attimo, un pensiero improvviso, e la decisione pur dolorosa
infine era presa, così il signor Calamassi si alzò da quella panchina, quasi
con un moto di fretta improvvisa, piegò accuratamente il giornale, salutò di
sfuggita la mamma con un debole sorriso, e se ne andò per i fatti suoi,
lasciando la lettera ad altri.
Bruno
Magnolfi